Passarelli: «Se il Pd perde voti è colpa solo in parte di astensionismo e liste del presidente»
«Il Pd ha perso 2 milioni 143 mila voti rispetto alle Europee 2014, ma la riduzione è significativa anche rispetto al 2013: meno un milione 83 mila. Questo risultato negativo, però, va letto e interpretato anche in relazione al fenomeno delle cosiddette "liste del presidente", sebbene ottengano consensi molto disomogenei». Gianluca Passarelli, docente di Scienze Politiche all’Università «Sapienza» di Roma, ha curato insieme con Filippo Tronconi per l’Istituto di ricerca «Carlo Cattaneo» di Bologna un’analisi dei dati — «Chi ha vinto e chi ha perso», il titolo del rapporto — emersi dalle recenti Regionali. I «renziani» accreditano al Partito Democratico i consensi ottenuti dalle liste del presidente, ridimensionando la flessione elettorale. Somma possibile? «In tre regioni (Toscana, Umbria e Liguria, ndr) non c’era lista del presidente. Altrove, se una di queste ha preso quasi il 10 per cento com’è avvenuto in Puglia, è plausibile ritenere che parte di quei voti sarebbero andati al Pd. Mi sembra legittimo. Per la nostra analisi, però, abbiamo deciso un altro parametro: quello dei voti assoluti a un partito. Se diversamente avessimo voluto analizzare i consensi andati a una certa area politica, avremmo potuto anche sommare i consensi andati alle liste del presidente». Ancora più difficili le «addizioni» nel centrodestra, dove Forza Italia e Lega hanno piazzato un presidente a testa. Innegabile, comunque, il sorpasso di Matteo Salvini ai danni di Silvio Berlusconi? «La Lega Nord ha preso più voti di Forza Italia che ha complessivamente perso il 46,9 per cento rispetto alle Europee, addirittura il 67 per cento rispetto alle Politiche. Quasi 2 milioni di voti sul 2013. La Lega Nord, invece, è l’unico grande partito che ha aumentato i propri consensi. Oltre il doppio rispetto a due anni fa. Si tratta, comunque, di Regionali. Le Politiche sono un'altra partita: diversi i candidati, diversa la campagna elettorale». Molti indicano il Movimento Cinque Stelle come il vero vincitore di queste Regionali. Un'affermazione smentita dall'analisi dell'Istituto Cattaneo? «Dipende da cosa si intende per "vittoria". In termini di Regioni, il Movimento Cinque Stelle non ha vinto da nessuna parte. In termini elettorali, poi, ha perso in valore assoluto un milione 956 mila voti rispetto alle Politiche e 893 mila sulle Europee quando già avevano fatto registrare un cospicuo arretramento. In termini percentuali, comunque, si conferma una realtà molto forte». Perché? «Perché è un attore con cui le altre forze politiche devono confrontarsi, avendo dimostrato di essere rilevante malgrado si trattasse di elezioni locali dove in passato non era stato in grado di raggiungere risultati significativi. Insomma, è tutto tranne che un fenomeno effimero, estemporaneo. Si sta, anzi, consolidando come partito». Tutti, o quasi, giustificano il calo chiamando in causa la sempre più massiccia fuga dei cittadini dai seggi elettorali. E' davvero così? «Chiaramente, l’astensione al 50 per cento incide molto. Soprattutto questo è avvenuto per i grandi partiti, Pd e Forza Italia. Non così per la Lega Nord, in quanto ha un elettorato più fedele e concentrato territorialmente. Oltre che in Veneto avanza moltissimo in Toscana, Umbria e Marche dove nel passato aveva avuto risultati molto modesti». Non è, poi, proprio colpa dei partiti se la marea astensionista s'ingrossa sempre di più? «Il Pd ha sofferto delle divisioni interne e di vicende come quella di De Luca in Campania. Questo può avere inciso su una parte di elettorato che ha preferito non recarsi alle urne. In generale, si sconta una certa disaffezione verso la classe politica, nonostante l’offerta sia molto ampia. Ha perso voti anche un partito "antitutto" come il Movimento Cinque Stelle. L’astensione è un problema sistemico col quale confrontarsi. Non tanto per le percentuali, ma per la composizione degli astensionisti». Cioè? «È un’ipotesi, che va supportata da studi specifici. Se dovessimo, però, notare che si allarga la distanza in termini di caratteristiche economiche e sociali tra chi va a votare e chi no, questo aprirebbe una faglia democratica all’interno della nostra comunità». Nel vostro studio, avete tenuto in considerazione il dato delle elezioni nazionali 2013 oltre che delle Europee 2014. Competizioni troppo diverse perché sia possibile un raffronto? «La comparazione migliore sarebbe stata quella con le Regionali del 2010, ma qualcuno avr ebbe potuto obiettare che erano troppo lontane nel tempo. Abbiamo, quindi, fatto una scelta diversa. Rispetto a 5 anni fa, comunque, il Pd e Forza Italia arretrano ma perde pure la Lega che nel 2010 toccò il suo massimo storico».