PALERMO. «A destra c’è vita e questo mi sembra il dato politico più importante emerso dalle ultime elezioni regionali. Il problema è che al momento manca qualcuno in grado di occupare stabilmente quello spazio». Giovanni Orsina, politologo alla Luiss, editorialista del quotidiano La Stampa e autore di diversi testi tra cui «Il berlusconismo nella storia d’Italia», traccia un bilancio della consultazione elettorale d e guarda agli scenari futuri. Professore ci aiuti a capire: i commenti dei leader alle ultime elezioni sembravano la replica delle vecchie tribune elettorali della Prima Repubblica in cui tutti si dichiaravano vincitori. Ma com’è andata veramente? «Renzi ha vinto ma non ha stravinto. Il centro-destra non è scomparso. Aveva due regioni prima del voto e altrettanto adesso anche se ha scambiato la Campania con la Liguria. Non c’è stata una vittoria chiara di una parte politica e nemmeno una catastrofe per l’altra. Questo spiega i commenti soddisfatti da entrambi gli schieramenti». Renzi veramente sperava di chiudere 7 a 1. Si è dovuto accontentare di un sei a due. In alcune avamposti storici come l’Umbria il Pd ha rischiato una sconfitta clamorosa. Un bel passo indietro rispetto al 41% dell’anno scorso, non trova? «Non mi aspettavo questa brusca frenata di Renzi. Al momento la sua è l’unica offerta politica in campo e il premier, seppur tra mille difficoltà, sta provando a fare qualcosa. Non ha il 41% ma nemmeno il 25% emerso da queste elezioni. È attestato intorno al 30-35% che rappresenta storicamente l’insediamento del vecchio Pci». Perché non riesce a rompere l’argine? «Forse ha sottovalutato il livello di rabbia degli italiani, ancora molto alto. Il voto ha mostrato che il partito della nazione per ora è archiviato. E anche un certo logoramento dell’esecutivo. Comincio a pensare che Renzi sia arrivato a Palazzo Chigi troppo presto e in posizione troppo debole, visto che non è stato legittimato da un voto popolare. E anche il suo continuo rilanciare su più terreni di sfida alla fine contribuisce a logorarlo. Per non parlare di alcuni grossolani errori di comunicazione, come la Playstation». Gli avversari più duri li ha in casa. Come giudica la lista degli impresentabili presentata da Rosy Bindi proprio alla vigilia del voto? «Un gesto inconcepibile. Lei si immagina in Francia l’Assemblea Nazionale che mette le pagelle ai candidati dei dipartimenti? Sarebbe venuto giù il mondo. Da noi è successo perché c’è una parte del Pd che non vuole rassegnarsi. È la componente ormai sconfitta dalla storia che però non vuole uscire di scena. Quella che Renzi sta facendo dentro il Pd è un’autentica rivoluzione e ovviamente la componente che si sente perseguitata sta facendo di tutto per opporsi. Non è più una battaglia politica. È una lotta per la sopravvivenza». Renzi non gode. Però i suoi avversari neppure. «L’unico che può cantare vittoria è Salvini. Che, dopo aver raddoppiato in un anno i voti della Lega, a questo punto aspira a legittimamente a essere il futuro leader del centrodestra. Avversari per ora non ne ha. Bisogna però vedere come la Lega coniugherà le sue spinte anti-sistema e anti-Europa all’interno di un’alleanza con altre formazioni». Che cosa significa in concreto? «Significa che Salvini deve decidersi. È a un bivio: può diventare il Grillo della destra oppure trasformarsi in una forza di governo. Tenga anche conto che la vittoria in Veneto è legata alla figura Zaia. Sono suoi voti personali che oggi sono andati a destra ma, in una competizione dove non fosse direttamente impegnato il governatore potrebbero andare a sinistra». Bossi riusciva bene a coniugare il partito di lotta e di governo. E poi c’è Berlusconi che, nonostante tutti i problemi non è affatto uscito di scena. «Io credo che il leader di Forza Italia sia al termine della sua parabola politica. Può ambire ad arrivare ancora al 13-14 per cento, ma non di più. Inoltre in questa campagna elettorale mi è sembrato anche assai stanco. Non credo possa giocare ancora il ruolo di player, semmai quello di padre nobile, di regista». L’ex premier non è riuscito a trovare un successore. «Con qualche ragione dalla sua, non ritiene nessuno alla sua altezza. Ma un vero leader cui passare il testimone Berlusconi non l’ha mai cercato davvero. L’unico modo che ha per restare protagonista è iniettare soldi dentro Forza Italia, rilanciarla e designare erede sua figlia Marina». Lei è molto affezionato all’ipotesi dinastica. «Ha una visione molto proprietaria del partito e quindi si fida solo dei suoi familiari. Tanto più che gli eredi possibili, come Fini e Alfano lo hanno tradito. Comunque tutto dipende da quanti soldi ha ancora il Cavaliere e soprattutto da quanto vuole spendere per il partito. Finora ha comandato anche perché pagava tutto lui. Ma adesso che si è venduto anche il Milan? Mi pare che l’intenzione sia quella di tirare i remi in barca». Però con la vittoria di Toti Forza Italia ha battuto un colpo. «Sì, ma non è replicabile su scala nazionale. Toti è stato bravo a sfruttare le divisioni del centrosinistra in Liguria e i sondaggi per una volta ci hanno preso. Alle Politiche, però, è tutta un’altra storia». Il resto del centrodestra non se la passa bene, a partire da Ncd. «Quello di Alfano sembra un partito ai ferri corti: la Lorenzin si dice che sia pronta a entrare nel Pd, Quagliariello spinge per tornare all’opposizione, la Di Girolamo vuole riallacciare con Berlusconi. Devono ancora decidere se essere un cespuglio nel giardino di Renzi o uno dei mattoni su cui ricostruire il centrodestra di domani. E nell’indecisione sono evanescenti». Poi c’è Raffaele Fitto, che sta facendo nascere i suoi gruppi in Parlamento. «Fitto è un pezzetto di questo magma in movimento: ha una sua dignità e una sua forza, seppur in ambito locale. È un giocatore in campo e va tenuto d’occhio». E Fratelli d’Italia? «La debolezza di Giorgia Meloni è di essere totalmente a rimorchio di Salvini, non riesce a differenziare le sue posizioni da quelle della Lega. E al Sud non riesce a conquistare quello spazio politico lasciato libero dal Carroccio». Tutti questi soggetti sono condannati a stare insieme? «Salvini potrebbe anche essere tentato dalla sfida solitaria a Renzi, puntando a catalizzare i voti degli elettori del centrodestra al secondo turno. Ma in generale credo che debba lavorare insieme agli altri per costruire un’offerta politica credibile che sia alternativa a Renzi e ai Cinque Stelle. Ripeto: le regionali hanno dimostrato che lo spazio politico c’è, ma l’offerta per il momento è debole e frammentata».