Mercoledì 25 Dicembre 2024

Renzi dopo le Regionali: "Si procede più determinati di prima"

Il premier Matteo Renzi

ROMA. La riforma della scuola sarà legge entro la metà di giugno, anche con la fiducia al Senato se l'ostruzionismo lo renderà necessario. E poi avanti su ddl costituzionale, unioni civili, riforma della P.A., conflitto d'interessi. Chi vorrebbe brandire il risultato delle regionali per frenare l'agenda del governo è avvertito: si procede ancora più determinati di prima, ripete a tutti i suoi interlocutori Matteo Renzi. Ma la minoranza del Pd non intende allentare la pressione per «correggere la rotta». «Il Pd è la nostra casa, combattiamo per le nostre idee - dicono i bersaniani - se ai renziani non va bene, ci caccino: noi non togliamo il disturbo». Per ora Renzi non rompe il silenzio. Si concede un bagno di folla ricco di incoraggiamenti alla parata del 2 giugno, nelle conversazioni con chi passa a salutarlo nel palco delle autorità si mostra disteso («in grande forma», secondo Bruno Tabacci) e rivendica che nelle Regioni andate al voto nell'ultimo anno ha vinto 10 a 2. Poi torna a Palazzo Chigi e lavora, riferiscono dal suo staff, sui dossier che saranno al centro del G7 di Elmau, in programma per domenica 7 e lunedì 8 giugno. Lunedì sera, alle 21, riprenderà il filo nel partito. E in direzione aprirà un confronto «vero», assicurano i renziani, con quella minoranza del partito che non accetta di stare alle regole. Il segretario-premier non caccerà nessuno e non chiederà un passo indietro di Rosy Bindi, che è stata denunciata da Vincenzo De Luca per la scelta di inserirlo tra gli «impresentabili». I due, aveva già detto 'a caldò, «se la vedranno in tribunale». Ma nel Pd è arrivato il momento di dire con nettezza, ripetono a una voce i dirigenti dem, che le regole interne vanno rispettate e la minoranza non può pretendere di avere un potere di veto. Alle regionali il Pd ha vinto, sottolineano gli esponenti della segreteria: «Facendo la tara con le liste civiche, D'Alimonte afferma che il partito mantiene un 37-38% su base nazionale. Ma si sono persi consensi rispetto alle europee per le intemperanze di chi in questi mesi ha sistematicamente tradito la 'regola Bersanì di convivenza nei gruppi e non ha rispettato le decisioni assunte a maggioranza dopo un ampio dibattito interno - afferma un renziano - e in Liguria i nostri mali sono iniziati quando Cofferati non ha accettato il verdetto delle primarie». È questa la ragione per cui, nell'ambito del processo di rinnovamento del partito, Renzi potrebbe lunedì proporre di accelerare il processo di revisione delle regole interne. E mettere in chiaro che chi non rispetta quelle regole tradisce la «comunità» e la sua unità e in questo senso se ne mette fuori. Da lunedì dovrebbe partire anche un'opera di rinnovamento del Pd locale. Mentre sugli assetti del Nazareno una decisione non sarebbe stata ancora assunta, ma qualche renziano afferma che sostituire ora Lorenzo Guerini, sia pure per nominarlo capogruppo, avrebbe il sapore di una bocciatura. Dunque nel 'borsinò interno riprende quota l'ipotesi della indicazione di Ettore Rosato alla presidenza del gruppo alla Camera, seguito da una sostituzione dei presidenti di alcune commissioni. A questo riassetto non è interessata, assicura Roberto Speranza, quella parte della minoranza Pd che a lui fa capo: «Ai posti abbiamo già rinunciato per difendere le nostre idee». È piuttosto una correzione di linea che la sinistra del partito chiede, denunciando «un'emorragia di voti e una rottura vistosa con un pezzo del nostro elettorato». Se la correzione non ci sarà, annunciano, il confronto si sposterà in Parlamento. Al Senato, in particolare, dove i 24 della minoranza - assicura uno di loro - sono «compatti e decisi». «Sia chiaro a Renzi - dice un bersaniano - che noi non ci mettiamo fuori dal Pd: se vuole, dovrà cacciarci. Sono convinto che non si arriverà a questo punto. Ma se vogliono fare i duri, facciamo i duri anche noi».

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