I disagiati d’Italia stanno soprattutto al Sud, lavoratori in nero, disoccupati e inattivi scoraggiati sono in grandi percentuali nel Meridione, in Sicilia. Studioso e teorico del mondo social-lavorativo diviso in tre - la società delle garanzie che comprende i dipendenti pubblici, impiegati ed operai delle grandi imprese, la società del rischio con gli artigiani, liberi professionisti, partite Iva e dipendenti delle piccole imprese, e la società degli esclusi (lavoratori in nero disoccupati e inattivi scoraggiati) - il professore Luca Ricolfi docente di Analisi dei dati all’Università di Torino, saggista ed editorialista del Sole 24ore, segnala il quasi primato italiano per consistenza degli «esclusi» fra i Paesi Oecd: l’Italia è al terzo posto dopo Grecia e Spagna. È un primato raggiunto nel 2014, e la massima concentrazione di questo negativo sociale si trova nel Meridione: «Si tratta di ben dieci milioni di persone, più o meno tanti quanti stanno nelle altre aggregazioni, la società delle garanzie e quella del rischio». Una sorta di «Terzo Stato in versione moderna» che per Ricolfi «è cresciuto di dimensioni negli anni della crisi fino a diventare oggi di ampiezza comparabile alle altre due». E questo Terzo Stato di cittadini, è per lo più rappresentato da donne e giovani e in generale da quanti aspirano a un lavoro regolare a tempo determinato o indeterminato. Ed hanno la loro sede prevalente nel Mezzogiorno del Paese, al Sud, in Sicilia. «È un dato che si spiega facilmente, la terza società ha alla base il lavoro nero che è più diffuso al Sud, al Sud sono presenti le grandi percentuali di disoccupati e di scoraggiati che il lavoro non lo cercano più, è tutto nella logica dei numeri e delle situazioni. E ci sono anche ragioni storiche, il problema del Sud mai risolto dall’Unità d’Italia e poi, a partire dagli anni ’60, il tasso di occupazione che scende in Italia e anche al Sud». Un esame delle differenze fra Nord e Sud porta il professor Ricolfi a segnalare altri fattori: per esempio il rifiuto di un lavoro scomodo è più frequente al Nord «perché i posti di lavoro sono più al Nord. Ma c’è anche la ricchezza accumulata da nonni e genitori che tiene lontani i giovani dai lavori sgraditi. I ragazzi centro-settentrionali possono ancora permettersi dei lussi non consentiti ai meridionali, per esempio il rifiuto di fare il panettiere, tutta la notte in piedi». «Ci vorranno trent’anni per equiparare il Sud al Nord: fino a quando ci saranno genitori disposti a mantenere i loro figli neets, non impegnati nello studio, che non hanno un lavoro e non lo cercano. Un lavoro in pizzeria a Torino è da duemila euro al mese». In tutto questo c’è una inadeguatezza di manovra che viene attribuita al governo Renzi, che ha creato «finti posti di lavoro, per esempio per i forestali come è avvenuto in Calabria. È una manovra assistenziale e sarebbe stato meglio dare sgravi alle imprese molto forti eliminando i trasferimenti agli enti locali. Sarebbe anche importante azzerare l’Irap nel Mezzogiorno e coprire questo costo con i minori trasferimenti ai Comuni, alle Province e alle Regioni». E l’attuale alleggerimento contributivo in corso «ha effetti maggiori al Nord che non al Sud: le assunzioni nel Mezzogiorno si fanno spesso in nero e il fatto di ridurre i contributi non sposta molto le cose. Le tasse nel Mezzogiorno sono spesso autoridotte, mentre al Nord, dove c’è più propensione a rispettare le regole, gli incentivi funzionano. Se invece si assume in nero e non si pagano i contributi non si ha nessun risparmio». Come dire che a causa della natura border line delle assunzioni al Sud, il governo di fatto si trova ad aiutare il Nord più che il Sud. E poi il futuro. Oggi la terza società degli esclusi non ha una rappresentanza politica e Renzi ha finora recitato le due parti, quella della sinistra che difende la società delle garanzie e quella della destra che difende la società del rischio. Se nascesse un partito della terza società e dei suoi interessi, come potrebbe giustificare il Pd di Renzi di essere una finta sinistra che lascia ad altri il compito di difendere gli esclusi? «In quel caso Renzi entrerebbe in grande difficoltà» ammette Luca Ricolfi, e segnala che la Fondazione David Hume e La Stampa di Torino, l’anno scorso hanno lanciato la proposta del «job Italia» a tutela della terza società. «Non abbiamo avuto nessun apporto o appoggio dal governo e nemmeno da Confindustria. Solo Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia ha presentato un emendamento alla finanziaria a sostegno della nostra proposta. E la Cgil di Susanna Camusso ha partecipato con noi a un convegno ed ha spiegato perché il job Italia è meglio del jobs act».