Lunedì 23 Dicembre 2024

Civati: "Esco dal Pd per coerenza con il mandato degli elettori"

ROMA. Pippo Civati esce dal Pd, senza però portarsi dietro i senatori a lui vicini. Costoro preferiscono rimanere nel partito per poter contrastare meglio, insieme ai bersaniani, le riforme costituzionali e gli altri provvedimenti del governo come il ddl scuola. Uno scenario che la maggioranza Dem si prepara ad affrontare innanzitutto tentando di  riaprire il dialogo con Forza Italia e gli ex 5 stelle. La promulgazione della riforma elettorale da parte di Mattarella non ha placato le polemiche politiche di alcuni esponenti delle opposizioni e perfino del leader della Cisl Barbagallo che insistono sulla incostituzionalità  dell'Italicum. L'altro tema è la promozione di un referendum, rilanciato oggi da Mara Carfagna e da Sel con Stefano Quaranta. Ma l'effetto più dirompente dell'approvazione dell'Italicum è stato oggi l'abbandono del Pd da parte di Pippo Civati, per il quale la riforma è stata «la goccia che ha fatto traboccare il vaso» facendogli prendere una decisione minacciata da mesi.  «Non ho più fiducia nel governo - ha spiegato - perchè dopo la fiducia della scorsa settimana, non si può chiudere così, come se fosse solo una parentesi». Un addio non per aderire a Sel, quanto per aprire dopo le elezioni regionali un cantiere con l'obiettivo di costruire assieme a Sinistra e libertà e altri «una sinistra di governo» nel quale Maurizio Landini è interlocutore. Tuttavia Civati non porta con se i senatori a lui vicini (Corradino Mineo, Lucrezia Ricchiuti, Sergio Lo Giudice, Nerina Dirindin, Walter Tocci e Felice Casson). Mineo ha raccontato di una riunione martedì sera con i senatori bersaniani dove si sarebbe deciso di far fronte comune per contrastare meglio tutti i provvedimenti del governo, dal ddl Scuola (arriverà a Palazzo Madama il 20 maggio) alle riforme costituzionali, che saranno incardinate dopo le elezioni regionali. Si tratta 22 senatori determinanti, visto che la maggioranza senza di loro scende da 170 a 148, ben al di sotto dei 161 voti che rappresentano la maggioranza assoluta in Senato. Insomma i civatiani sono in grado di far male al Pd e al governo rimanendo nel partito. Gli esponenti delle altre minoranze del Pd hanno tutti addossato la colpa dell'uscita di Civati a Renzi. Il premier ha evitato dichiarazioni, e chi gli ha parlato riferisce che egli si aspettava questa rottura e che non ha drammatizzato. «Sono dispiaciuto ma era una decisione preannunciata da tempo», ha detto Lorenzo Guerini. Per quanto riguarda la maggioranza al Senato, il vicesegretario dem ha detto di non essere «impensierito». Parole minimaliste che celano che il gruppo democratico del Senato sta già lavorando a neutralizzare i 22. «Io non ho mai chiesto a un senatore - ha spiegato il capogruppo Luigi Zanda - di entrare nel Pd o di cambiare campo, ma credo che dopo le regionali il quadro possa subire altre modifiche». In pratica i vari gruppi ex M5s ma anche i piccoli partiti del centrodestra hanno interesse a prolungare la legislatura per ridarsi un assetto politico più solido. L'altra strategia, ha detto Giorgio Tonini, punta a una ripresa del dialogo con FI, anch'essa bisognosa di allontanare le urne per ristrutturarsi. E infatti il capogruppo Paolo Romani ha espresso la volontà «nel prossimo passaggio parlamentare delle riforme costituzionali, di giocare una nuova partita utile ad inserire modifiche respinte in prima battuta».  

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