ROMA. «Mettere la fiducia è un gesto di serietà verso i cittadini. Se non passa, il governo va a casa. Se c'è bisogno di un premier che faccia melina, non sono la persona adatta. Se vogliono un temporeggiatore ne scelgano un altro, io non sono della partita. Se passa, significa che il Parlamento vuole continuare sulla strada delle riforme». Lo scrive il premier Matteo Renzi in una lunga lettera indirizzata alla Stampa - e di cui anche Secolo XIX pubblica un estratto - in cui difende la decisione sull'Italicum e si dice pronto a discutere sul Senato. Renzi, che si sofferma sui contenuti tecnici della legge - «la verità, vi prego, sull'Italicum» -, spiega che «non sarà perfetto, come nessuna legge elettorale è perfetta. Ma è una legge seria e rigorosa che consente all'Italia di avere stabilità e rappresentanza, che cancella le liste bloccate, che impone la chiarezza dei partiti davanti agli elettori». «Abbiamo messo la fiducia - sottolinea - perchè dopo aver fatto dozzine di modifiche, aver mediato, discusso, concertato, o si decide o si ritorna al punto di partenza. Se un Parlamento decide, se un governo decide questa è democrazia, non dittatura. Se il Parlamento rinvia, se il governo temporeggia, il rischio è l'anarchia». «Per come li ho conosciuti - scrive Renzi - la maggioranza dei deputati, la maggioranza dei senatori hanno a cuore l'Italia di oggi e quella dei nostri figli. E se lo riteniamo necessario ci sarà spazio al Senato per riequilibrare ancora la riforma costituzionale facendo attenzione ai necessari pesi e contrappesi: nessuna blindatura, nessuna forzatura. Con lo scrutinio palese - imposto dal voto di fiducia - i cittadini sapranno. Sapranno chi era a favore, chi era contro. Tutti si assumeranno le proprie responsabilità. Il tempo della melina e del rinvio è finito». Ieri, cogliendo di sorpresa anche molti deputati della maggioranza del Pd, il governo ha posto la fiducia sulla riforma elettorale alla Camera, dopo aver superato senza patemi d'animo due voti segreti sulle pregiudiziali all'Italicum, presentate dalle opposizioni. Una scelta, quella di Matteo Renzi, presa nella convinzione che la minoranza Dem avrebbe tentato «il colpo» su un ben preciso emendamento a scrutinio segreto, che se fosse andato in porto avrebbe rispedito la riforma in Senato. Tale scelta però non solo ha sollevato le proteste delle opposizioni, ma anche quelle della minoranza Dem, con alcuni dei suoi big (come Enrico Letta e Pier Luigi Bersani) che non parteciperanno al voto, ed altri addirittura che negheranno la fiducia. Prodromo di un possibile strappo che non potrà essere ignorato dal gruppo e dal partito.