L’Italicum supera il primo scoglio. Il governo pone la fiducia ed esplode la bagarre in Aula
ROMA. Cogliendo di sorpresa anche molti deputati della maggioranza del Pd, il governo ha posto la fiducia sulla riforma elettorale alla Camera, dopo aver superato senza patemi d'animo due voti segreti sulle pregiudiziali all'Italicum, presentate dalle opposizioni. Una scelta, quella di Matteo Renzi, presa nella convinzione che la minoranza Dem avrebbe tentato «il colpo» su un ben preciso emendamento a scrutinio segreto, che se fosse andato in porto avrebbe rispedito la riforma in Senato. Tale scelta però non solo ha sollevato le proteste delle opposizioni, ma anche quelle della minoranza Dem, con alcuni dei suoi big (come Enrico Letta e Pier Luigi Bersani) che non parteciperanno al voto, ed altri addirittura che negheranno la fiducia. Prodromo di un possibile strappo che non potrà essere ignorato dal gruppo e dal partito. Nei giorni scorsi Renzi aveva detto che la decisione sulla eventuale fiducia sarebbe stata presa alla luce del risultato dei due scrutini segreti sulle pregiudiziali presentate in Aula dalle opposizioni. Quando a fine mattinata esse sono state bocciate rispettivamente 384 a 209 e 385 a 208, si è avuta la sensazione che non sarebbe arrivata la fiducia. Tanto è vero che la vice presidente della Camera Marina Sereni aveva rilanciato il cosiddetto «lodo Lupi»: niente richieste di voti segreti sugli emendamenti da parte delle opposizioni e niente fiducia. Ma dopo pochi minuti lo scenario è cambiato: Fi non ha accettato il «lodo» e nello scrutinio palese sulla sospensiva, Pierluigi Bersani e Gianni Cueprlo non hanno partecipato al voto, mentre Alfredo D'Attorre ha ribadito che la minoranza Dem voleva «migliorare» la legge. Il premier ha subito convocato il Consiglio dei ministri per autorizzare la fiducia che è stata posta in Aula dal ministro Maria Elena Boschi alla ripresa della seduta, alle 15, mentre le opposizioni sono insorte. C'è chi come Renato Brunetta ha evocato il «fascismo» o chi come Renato Scotto (Sel) ha parlato di «funerale della democrazia» (mentre i deputati di Sel lanciavano crisantemi sui banchi del governo). Sono volati anche insulti indicibili da parte di Maurizio Bianconi e dei deputati di M5s, a danno del vice capogruppo del Pd Ettore Rosato e della Presidente Laura Boldrini che, in base al regolamento e ai precedenti, aveva giudicato ammissibile la fiducia sulla materia elettorale. Renzi ha preferito i «social» alla presenza in Aula, e su twitter ha scritto: «Dopo anni di rinvii noi ci prendiamo le nostre responsabilità in Parlamento e davanti al Paese»; e poi la sfida: «La Camera ha il diritto di mandarmi a casa se vuole: la fiducia serve a questo. Finchè sto qui, provo a cambiare l'Italia». Parole confermate in serata da Boschi: «quello che temo è l'immobilismo e la palude» e la fiducia «fa chiarezza» perchè evita «voti segreti, tranelli e trabocchetti». La minoranza Dem è in rivolta. Annunciano il no alla fiducia Pippo Civati, Stefano Fassina, e Alfredo D'Attorre in modo prevedibile, ma anche l'ex capogruppo Roberto Speranza, che però spacca la sua corrente, Area Riformista: alcuni come Nico Stumpo e Davide Zoggia voteranno sì la fiducia, me non si pronunciano per sul voto finale, mentre altri come Dario Ginefra e Antonio Misiani voteranno sì all'una e all'altro. Ma ci sono anche alcuni big, come Enrico Letta e Pierluigi Bersani, che non voteranno la fiducia, pur uscendo dall'Aula per evitare il «no». È proprio il voto finale, a scrutinio segreto, che resta l'ultima incognita, anche se il governo è convinto che avrà il soccorso di molti deputati di Fi e M5s. Il Vietnam potrebbe invece riguardare la riforma costituzionale, all'esame del Senato, dove la minoranza Dem è determinante.