ROMA. Prima ancora che sulla legge elettorale, Matteo Renzi mette la «fiducia» sul Pd. E apre la partita finale dell'Italicum con una lettera ai coordinatori di circolo, alla «base» del partito, che segna con nettezza una linea tra un prima e un dopo. Prima, le riforme erano «impantanate» e le divisioni del Pd riportavano al governo «gli altri». Adesso lui, da premier e segretario, è pronto a mettere in gioco il suo stesso governo per difendere la «dignità del Pd» e la sua credibilità come «motore del cambiamento». Chiara la premessa politica del premier, che accresce l'irritazione nella minoranza dem, la tattica parlamentare sarà definita solo oggi, dopo il voto delle pregiudiziali in Aula. La fiducia sugli articoli del testo continua a essere considerata pressochè inevitabile, ma fino all'ultimo nessuno scenario viene escluso dai renziani: neanche che si voti senza fiducia o all'opposto che, con un'accelerazione, la prima fiducia sul testo venga posta oggi e non lunedì prossimo. In mattinata Renzi in una lettera ai coordinatori Pd scrive: «Questa legge l'ha voluta il Pd. L'abbiamo definita una urgenza e ora dovremmo fermarci?. Vi domando: davvero vi sembra logico che dopo tutta questa trafila ci dobbiamo fermare davanti ai veti, perchè una parte della minoranza non vuole?». Una domanda retorica, se si considera che il segretario nel lungo testo rivendica di essersi sempre adeguato al volere della maggioranza del partito. Una domanda che però la minoranza dem accoglie con irritazione: «La nostra battaglia è a viso aperto, nel merito. Nei voti non abbiamo mai fatto trabocchetti - dice un dirigente di Area riformista - come dimostra il fatto che Mattarella l'abbiamo eletto a scrutinio segreto. Altri in passato invece non hanno votato i candidati di Bersani: Marini e Prodi...». Nel pomeriggio, racconta qualche bersaniano a motivare l'irritazione, va avanti il tam tam dei renziani sul territorio, per convincere i segretari regionali e provinciali a sostenere esplicitamente il premier. E in effetti in serata a Renzi danno una fiducia piena i 20 segretari regionali, che firmano una lettera in cui invitano i deputati, in nome della credibilità Pd, a non prestarsi a «trabocchetti» da voto segreto in Aula. Se qualche imboscata dovesse andare a segno, conferma il premier, il governo non esiterà «ad andare a casa», ma questo - aggiunge - «non fermerà l'urgenza del cambiamento che rappresenta». Non pensino, insomma, gli oppositori interni di fare un «regalo» ai «populisti» o ai «tecnici», magari tentati da un ritorno al potere: farebbero solo un danno al Pd e alla sua comunità. Dunque avanti tutta in Parlamento. A partire da domattina, quando si voteranno tre pregiudiziali dell'opposizione, due delle quali a scrutinio segreto. Renzi in una riunione all'ora di pranzo con Lorenzo Guerini e Matteo Orfini decide di non mettere la fiducia su questi primi voti: i numeri lasciano una relativa serenità, perchè la minoranza Pd (al netto di alcuni che potrebbero non partecipare al voto) dichiara di non aver mai voluto affossare il testo, ma solo approvare alcuni emendamenti. Quanto al prosieguo delle votazioni, l'opzione più probabile resta sempre quella di tre voti di fiducia sugli articoli dell'Italicum e i tecnici stanno valutando anche la possibilità della fiducia sul voto finale. Ma ogni decisione sarà assunta domani, con alla mano i numeri delle prime votazioni e quando sarà chiaro l'atteggiamento delle opposizioni. Nessuno esclude che alla fine la fiducia venga evitata ma tutti sottolineano che è assai difficile. Anche sui tempi, la tentazione di Renzi sarebbe votare già questa settimana. Ma i tempi sarebbero molto stretti e quindi probabilmente si andrà alla prossima. È intanto rinviato a dopo il voto sull'Italicum il «nodo» Speranza. Un segnale di apertura del premier alla minoranza Pd, che continua sottotraccia a tenere aperto un dialogo sulla riforma costituzionale. Ci sono margini, sottolineano i renziani in serata, perchè Speranza (ma non si esclude un altro deputato della minoranza) resti capogruppo. Un segnale positivo, secondo i «moderati» di Area riformista. Ma i «pasdaran» tengono alta la guardia: «Solo un modo per tenerci buoni sull'Italicum...», commentano.