ROMA. A metà maggio l'Italicum sarà legge. Perchè non ci sia dubbio, Matteo Renzi lo scrive sulla pubblica bacheca di Facebook, nelle ore in cui alla Camera infuria la polemica e le opposizioni si ritirano indignate in Aventino. «Non ci fermiamo nella palude. Avanti, su tutto!». Parole limpide, che affievoliscono sempre più le ultime, residue, ssperanze della minoranza Pd più dialogante. Ma aumentano la determinazione dei pasdaran, ormai pronti a sfoderare in Aula ogni arma a loro disposizione, dal voto segreto fino al far mancare il numero legale, in asse con le opposizioni. Perciò il leader Pd non sta fermo, ma sfodera le sue contromosse e serra i ranghi della maggioranza. Perchè se i renziani ostentano tranquillità sui voti in Aula, ogni voto ha la sua insidia. In mattinata il premier riceve, con Lorenzo Guerini, una delegazione di Scelta civica. Dal momento della diaspora dei senatori, con l'ingresso nel Pd del ministro centrista Stefania Giannini, Enrico Zanetti e i 24 deputati di Sc non perdono occasione di mostrare il loro scontento per il ridimensionamento nel governo. Da ultimo, la minaccia di uscire anche loro dalla commissione, insieme ai partiti di opposizione. Una minaccia che Renzi raccoglie e annulla convocando Zanetti, Andrea Mazziotti e Mariano Rabino, per un colloquio in cui - raccontano - dice chiaro agli alleati di governo di non fare scherzi ma non chiude la porta a un rafforzamento della presenza nel governo, con un aumento delle deleghe o un incarico da viceministro, quando sarà il momento di rimettere mano alla squadra (magari dopo le regionali) per nominare anche il nuovo ministro Ncd. Anche ai deputati di Per l'Italia-Centro democratico (13 in tutto) il Pd, con una nota firmata Guerini, assicura un ruolo futuro, per un «progetto di ampio respiro che recepisca le possibilità offerte dalla nuova legge elettorale». Come a dire, la promessa di non sparire, all'ombra di un Pd sempre più «partito della nazione» grazie all'Italicum. E poi c'è il dialogo che va avanti sotto traccia con l'ala più 'governativà della minoranza Pd. Perchè se è vero che Renzi non ha chiarito, come invece gli chiedevano i dem, fin dove sarebbe disposto a spingersi nelle modifiche alla riforma costituzionale, più d'uno avrebbe recepito un messaggio di disponibilità al dialogo. Un segnale più concreto si attendeva il premier lo desse a Roberto Speranza, per consentirgli di ritirare le dimissioni da capogruppo. Ma al momento quel segnale non risulta essere arrivato e non è neanche convocata l'assemblea del gruppo sul 'caso Speranzà. La questione è «in sospeso» tanto che qualcuno ipotizza anche che non venga risolta prima dell'ok all'Italicum. Comunque alla prova dei fatti in Aula, ostentano sicurezza i renziani, le fila dell'opposizione Pd si assottiglieranno vistosamente. Non certo i 120 che non hanno partecipato al voto nell'assemblea del gruppo, ma «una frazione: tra i 25 e i 40 al massimo». Perchè, come potrebbe emergere anche da una riunione di Area riformista convocata per domani sera, l'ala più moderata della sinistra dem condivide il principio enunciato da Renzi per cui è «democrazia» seguire la linea decisa dalla maggioranza del gruppo. E perchè i renziani continuano a far passare il messaggio che è in gioco la vita stessa del governo. Nel governo la fiducia in Aula sul testo (i voti di fiducia potrebbero arrivare fino a quattro: uno su ogni articolo) viene considerata sempre più inevitabile. Perchè se ci sarà voto segreto le opposizioni possono saldare un pericoloso asse con i partitini della maggioranza e la minoranza Pd. Certo, Renzi è convinto di avere dalla sua i verdiniani di FI e coloro che nel partito di Berlusconi considerano difficilmente difendibile la giravolta sull'Italicum rispetto al Senato. Ma i 'pasdaran' della minoranza dem affilano le armi. Inclusa l'ipotesi di far mancare il numero legale nel caso in cui le opposizioni confermeranno l'Aventino andato in scena in convinzione. I renziani tengono la guardia alta ma affermano: «Dovrebbero avere una truppa di 80 deputati. Non li hanno».