ROMA. Tutto rimandato al prossimo consiglio dei ministri: sul disegno di legge di riforma della governance della tv pubblica sono necessari ulteriori approfondimenti. L'esame è stato avviato, ma se ne riparlerà insieme ai ministri competenti, Padoan e Guidi, e al sottosegretario Giacomelli. Il premier ha indicato le linee guida, confermando le indiscrezioni degli ultimi giorni, ma facendo capire che non tutto è definito. I punti fermi sono - come ha spiegato in conferenza stampa - l'indicazione di un «capo azienda che decida» evitando «mediazioni su mediazioni ed un numero pletorico di direttori», l'applicazione delle regole del codice civile e un cda più snello e meno invasivo. Altra certezza è che a indicare il capo azienda sarà il governo, come accade ora. «Il governo - ha detto Renzi - crediamo abbia il dovere più che il diritto di individuare il capo azienda che deve passare dal voto di conferma del cda». Meno sicurezze sembrano esserci, invece, su composizione e metodi di elezione del consiglio di amministrazione. Il premier ha spiegato di volere «un cda più ristretto, la cui maggioranza sia eletta dal Parlamento in seduta comune e con un membro espressione dei dipendenti Rai». Una frase che sembra smentire l'ultima bozza del ddl, rivista personalmente da Renzi, che prevedeva un cda di sette membri, tre eletti dal governo (compreso l'ad), tre dalle Camere e uno espressione dei dipendenti. Un'ipotesi presa di mira dall'opposizione perchè troppo sbilanciata sull'esecutivo. «Non vogliamo mettere le mani sulla Rai, ma dare ossigeno all'azienda», ha risposto Renzi, avvertendo che «basterebbe andare al rinnovo del cda con la Gasparri per avere la maggioranza». Il premier non si è sbilanciato sul numero dei consiglieri. Sul tavolo resta quindi l'ipotesi iniziale, messa a punto dal sottosegretario Giacomelli: quella di un cda a cinque membri, quattro eletti dalle Camere e uno dai lavoratori. Renzi spinge per una designazione da parte delle Camere in seduta comune. «Sarebbe bello», ha sottolineato perchè «è come si fa per il presidente della Repubblica». L'ipotesi però si presta a rischi di lungaggini, già sperimentate in passato, e potrebbe sollevare dubbi di costituzionalità, legati alla considerazione che le ipotesi di elezioni in seduta comune sono elencate nella Carta. Non è detto quindi che non si torni all'idea iniziale di un'elezione da parte dei presidenti delle Camere o di lasciare il voto alla Commissione di Vigilanza, che comunque sembra destinata a mantenere un ruolo di controllo. «Occorre che non vi sia contiguità con i partiti», ha spiegato Renzi, ma «questo non significa che le forze politiche non possano avere il compito di vigilare e di indicare le persone». La situazione, insomma, resta fluida e il premier è parso aprire alla discussione quando ha affermato che «il Parlamento sarà decisivo». E tra i parlamentari sembra trovare molto seguito l'ipotesi del sistema duale con un consiglio di sorveglianza e uno di gestione, per il momento scartata. Quello che Renzi ha escluso senza mezzi termini è l'ipotesi del sorteggio dei membri del cda, contenuta nella proposta del Movimento 5 Stelle. «È l'abdicazione della politica - ha spiegato -: i più bravi devono guidare la Rai». Sullo sfondo ci sono gli altri passaggi della riforma, a partire dal rinnovo della convenzione che arriverà in seguito. Nel disegno c'è una rete «senza pubblicità» destinata alla cultura, ha spiegato il premier, che non ha parlato dell'altro tema caldo, quello del canone. Tra le ipotesi caldeggiate da Renzi ci sarebbe l'abolizione della tassa, eventualmente reperendo più risorse dalla pubblicità e tagliando i costi. Resta in campo, comunque, la proposta di dimezzare l'importo con l'inserimento nella bolletta elettrica, voluta da Giacomelli.