ROMA. «Crocetta come Marino è una sciagura naturale. Dimettiti e vergognati se non sei capace di fare il tuo lavoro». Così Matteo Salvini dal palco della manifestazione della Lega a Roma facendo riferimento al Governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, e al sindaco di Roma Ignazio Marino. Per contestare il governo Renzi, insieme ai novelli sostenitori della causa leghista sotto il Po, in piazza del Popolo a Roma c'era la tipica baldanza dei frequentatori delle feste del Carroccio al Nord. Ma per riempirla, a Matteo Salvini, al suo rischioso debutto in una Capitale blindata, sono servite anche diverse migliaia di militanti di estrema destra, come quelli di CasaPound, che feroci critiche continueranno a costargli. Se i cori inneggianti alla secessione questa volta praticamente non ci sono stati, davanti al maxi-palco non sono sfuggite alcune invocazioni come quella di «Duce, Duce!» (una foto di Mussolini è stata vista sfilare) nè alcune croci celtiche che si sono «mischiate» agli sfottò degli striscioni anti-Renzi. Scenografica la «calata» dei «supporter» di destra dalla salita del Pincio, proprio dietro al palco, quando gli interventi erano appena iniziati a metà pomeriggio. Una marcia compatta, tricolori in mano, aperta da due gigantografie di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i Marò «da liberare». Applausi. Le bandiere di CasaPound, subito dietro, si sono incuneate nel verde leghista arrivato ben prima, in mattinata, col solito «armamentario» identitario. Chi in auto, chi con i pullman (200) e i treni speciali (3). Ce n'era anche uno che indossava le corna da vichingo come fosse a Pontida. La Lega a vocazione nazionale registra l'importante presenza di sostenitori in piazza come un successo e non era del resto scontato che a Roma si potesse avere un simile colpo d'occhio. Ma quanto si è visto in piazza del Popolo ha anche rivelato tutte le contraddizioni che racchiude il magma di sigle e umori che sta dietro l'ascesa del giovane leader milanese che vuole pesarsi per il dopo-Berlusconi. La piazza romana, separata dal resto della città per evitare scontri con chi non voleva il raduno leghista 15 anni dopo l'ultimo con Umberto Bossi, presente oggi insieme a Roberto Maroni, ha visto mischiarsi i tradizionali vessilli regionali ai tricolori branditi dalla destra. Si è inneggiato all'Italia, ma anche all'autonomia dei territori. C'erano striscioni da Varese, ma anche da Reggio Calabria. Sono partiti fischi contro il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ma anche applausi per l'allevatore lombardo che dal palco ha difeso le ragioni della montagna contro l'Ue che gli ha fatto pagare le multe per le quote latte. Necessità e storie diverse che hanno mostrato però di avere un comune denominatore: l'arrabbiatura contro il governo, contro l'Euro, contro l'immigrazione selvaggia. E contro i vecchi alleati, tranne gli ex An di Giorgia Meloni che ha parlato dal palco. «Berlusconi politicamente morto, meglio soli», recitava lo striscione più grande portato dai padani a Roma. A un certo punto, si diffonde anche la notizia di un'aggressione a dei giovani forzisti arrivati in piazza, ma la cosa non trova conferme nè tra i leghisti, nè tra le forze dell'ordine. Quindi esplode puntuale la guerra dei numeri: per le forze dell'ordine si tratta di 20mila manifestanti, mentre per la Lega di 100mila. Salvini aveva iniziato la sua giornata incontrandosi con delegazioni straniere dell'estrema destra. Poi, il pranzo da Giolitti coi Giovani Padani e l'ex Ncd Barbara Saltamartini. Nel pomeriggio, dopo il suo intervento dal palco con addosso un'altra delle sue felpe «parlanti» («Io sto con Stacchio») lo attende un bagno di folla. Stringe le mani di quelli «venuti giù dal Nord» di mattina presto per stare in prima fila. «Meglio di così non poteva andare», commenta addentando un panino al prosciutto con una bottiglietta di birra in mano, mentre gli operai smontano il palco. Anche in piazza del Popolo, insomma, una delle piazze «principe» della Roma bollata per anni dai leghisti come «ladrona», davanti a un pubblico così eterogeneo, il segretario del Carroccio si conferma un «one man show». Portato in trionfo dai suoi con cori da stadio e «vaffa» a tutto spiano.