«Peggio di Monti ci sono solo i montiani». La battuta è di Mattia Feltri, scrittore, giornalista e firma di punta de «La Stampa». Il bersaglio sono gli otto parlamentari di Scelta Civica che hanno aderito ufficialmente al Pd. Fra i partenti nomi eccellenti come il ministro Stefania Giannini e il giuslavorista Pietro Ichino e il viceministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda.
Come mai un giudizio così duro sull'ex presidente del Consiglio?
«Monti mi ricorda Kunt, l'alieno raccontato da Ennio Flaiano nel "Marziano a Roma". Atterra con la sua astronave a villa Borghese accolto dalle acclamazioni e dalla curiosità generali. Tutti desiderano vederlo, salutarlo, parlargli, intervistarlo. Passato un po' di tempo e svanito l'effetto della novità, i romani si abituano a vederlo e iniziano addirittura a sbeffeggiarlo fino a quando non lo costringono a ripartire».
Più o meno quello che è successo al Professore e al suo loden blu.
«Quello che è accaduto oggi nasce da quel fallimento. Dal fatto che l'esperienza politica di Monti era già conclusa prima ancora delle elezioni del 2013. L'azione riformatrice del suo governo, dopo la spinta iniziale, si era progressivamente esaurita proprio perché in lontananza balenava l'orizzonte elettorale. Il Professore ha progressivamente annacquato la sua spinta fino, praticamente, a fermarsi».
Però alle elezioni ottenne il 10% del voti. Non proprio un insuccesso considerando che era un partito nato da pochi mesi, senza strutture e privo di quella architettura logistica che nel '94 aveva accompagnato la vittoria di Berlusconi. E allora?
«Non è esattamente così. Monti ebbe il 10% ma secondo i sondaggi (e le speranze) i voti dovevano essere il doppio. Ma soprattutto risultò politicamente irrilevante. Doveva essere l'ago della bilancia in grado di condizionare la maggioranza e, invece, finì per svolgere una funzione unicamente gregaria. Era chiaro che il progetto era fallito e la transumanza di queste ore rappresenta la conclusione».
Il governo è più forte o più debole?
«Per il governo non cambia assolutamente nulla. Questi parlamentari avevano sempre votato compatti per la maggioranza. Da questo punto di vista per Renzi resta tutto come prima. Casomai è più forte all'interno del partito perché è evidente che i nuovi arrivati si andranno ad aggiungere alla formazione che sostiene il premier».
Alla fine i veri perdenti sono Fassina, Cuperlo, Bersani e gli altri oppositori del segretario.
«Quello che trovo abbastanza strana è proprio questa scelta. Capisco che gli otto di Scelta Civica decidono di lasciare il loro partito. Però mi sarei aspettato che confluissero nel gruppo misto. Invece sono andati direttamente nel Pd dicendo che a questa scelta li avevano spinti i loro elettori con i voti dati a Renzi alle euopee. Mi sembrano spiegazioni veramente strumentali».
Perché?
«Perché è di assoluta evidenza che l'hanno fatto nella speranza di essere ricandidati da Renzi alle prossime elezioni. Fossero andati nel gruppo misto sarebbero stati poco influenti. Con questa decisione sono corsi in soccorso del vincitore sperando di ottenere un po' di riconoscenza. In assenza possono sognarsi la riconferma».
È stato Renzi a chiamarli?
«Non lo so, ma non cambia nulla. Mettiamola così: non sappiamo se l'adescamento c'è stato ma il mestiere che hanno fatto gli otto è quello che conosciamo. La Costituzione non ammette il vincolo di mandato per deputati e senatori. Tuttavia mi sembra che in alcuni casi, come questo, la libertà è stata utilizzata male».
L'ingaggio non ha nessun legame con la crisi del Patto del Nazareno?
«No, questi non sono degli Scilipoti che, fra l'altro, è stato anche costretto in qualche maniera a cambiare nome visto che era diventato il simbolo dei traditori. Ora si firma Scilipoti Isgrò».
L'uscita dei montiani comunque dimostra che la forza di attrazione del governo è molto forte, non crede?
«In questo caso certamente, ma non è sempre andata così. Tutta la storia della Seconda Repubblica è segnata da turbolenti cambi di campo. Il primo governo Berlusconi nasce dalla rottura del patto della Lega. Il governo Dini nasce con i voti del centro-sinistra puntellati da Mastella. Non parliamo di D'Alema nel 1998. Nel 2011 ci sono i "Responsabili" che salvano Berlusconi».
E chi saranno i Responsabili del 2015?
«Immagino un po' di ex grillini. Forse qualcuno di Forza Italia più vicino a Verdini, qualcun altro che fa parte del gruppo misto. Tutti, chi più chi meno, alla ricerca di una candidatura per la prossima tornata elettorale».
Tuttavia i "Responsabili" non portano fortuna. L'esperienza della Seconda Repubblica insegna che sono supporti fragili.
«Questo è vero. È anche vero che il protagonista, in positivo o in negativo, è stato Berlusconi che ha sempre premiato la fedeltà sulla lealtà. Sono concetti diversi: il fedele dice sempre di sì. L'amico leale dice la verità. La fedeltà, inoltre, impiega un attimo a diventare infedeltà».
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