ROMA. L'allarme rosso è scattato verso le 11 quando l'ala dura di Fi spinge per l'ultimo strappo, l'abbandono dell'Aula alla quarta votazione, e dentro Ncd chi sostiene il nuovo asse con il Cav vuole accodarsi. A questo punto Matteo Renzi mette da parte la diplomazia e sbotta: «È inedito e inaccettabile che il ministro dell'interno, l'uomo che comunicherà ai prefetti il nome del nuovo Capo dello Stato, non voti una figura come Sergio Mattarella», si indigna il premier che poche ore dopo convocherà Alfano per un rendez vous dai toni ultimativi: o Ncd torna sulle sue decisioni o al Viminale non potrà sedere chi non vota il presidente della Repubblica. Un ragionamento che ha convinto i grandi elettori di Area popolare, i quali hanno approvato un documento secondo il quale i centristi voteranno sì a Sergio Mattarella. Quattro gli astenuti. Cicchitto: ok Mattarella poi confronto con Renzi. "Voteremo Mattarella perché il problema non è mai stato costituito da lui, che ci auguriamo sia un presidente al di sopra delle parti come lo è stato Napolitano. Poi si aprirà una discussione sul metodo adottato da Renzi, che ha causato una serie di problemi. Dunque si dovrà aprire un confronto politico su questo terreno, ma solo dopo l'elezione del capo dello Stato". Lo ha detto al Giornale Radio Rai Fabrizio Cicchitto, esponente del Nuovo Centrodestra, a margine dell'assemblea dei grandi elettori di Area Popolare. Il Pd, che calcola una soglia fisiologica di una quarantina franchi tiratori tra i dem, ha sempre messo in conto, nella scheda bianca di Fi e Ncd, una sessantina di voti in uscita per Mattarella nel segreto dell'urna da pescare tra i «lealisti» di Ncd, come il ministro Lorenzin ed i siciliani, ed i tifosi azzurri del Patto del Nazareno. È per questo che l'uscita dall'aula ha messo in moto sia le colombe, come il ministro Maria Elena Boschi, sia i falchi. Renzi si fida della compattezza del Pd al punto che, nella riunione con i vicesegretari ed i capigruppo, decide che non ci sarà domani un ordine di scuderia per segnare le schede dei dem e tenere sotto controllo ogni grande elettore. «Non sarebbe un bel segnale», ha spiegato il segretario stoppando l'ipotesi avanzata da Matteo Orfini. Ma davanti alla marea montante dei pasdaran azzurri e di un Ncd spaccato in due come una mela, Renzi ha fatto partire l'artiglieria pesante. Il fedelissimo Ernesto Carbone spara contro «le mire di Lupi che per fare il sindaco di Milano sta influenzando il povero Alfano». Nel pomeriggio il premier in persona arriva alla Camera per un vertice con Alfano, Pier Ferdinando Casini, lo stato maggiore del Pd e il sottosegretario Marco Minniti. «Così non possiamo andare avanti, devi scegliere da che parte vuoi stare», avrebbe detto il leader Pd in un confronto accesso nel quale, si racconta, avrebbe minacciato di far dimettere già da domani sera i sottosegretari Ncd. Ma è proprio l'incoerenza di Alfano, nel doppio ruolo di ministro degli Interni e di oppositore di Mattarella, ad irritare Renzi. Il capo del Viminale, a quanto si apprende, avrebbe accusato il premier di aver chiesto un metodo condiviso per il Colle senza diktat nè veti ma poi di aver scelto da solo privilegiando solo l'unità del suo partito. L'incontro finisce male e Alfano, uscito dalla sala del governo, viene riavvicinato poco dopo da Luca Lotti. Mediazioni e trattative che, a sera, sembrano sortire l'effetto di far ritornare Ncd sui suoi passi. E lo snodo nelle scelte del centrodestra è in un vertice a Palazzo Giustiniani tra Alfano, Casini e Gianni Letta. Nel quale Silvio Berlusconi esclude una retromarcia su Mattarella ma concorda il sì di Ncd. Eppure per una sorta di eterogenesi dei fini, gira voce che potrebbero essere proprio i fittiani, l'ala più contraria al Patto del Nazareno, a votare domani il candidato Pd nel segreto dell'urna. «Vedrete, supereremo i 600 voti», è la previsione di un dirigente dem prima della lunga notte che precede il D-Day.