ROMA. «È chiaro che sulla riforma elettorale ci giochiamo moltissimo tutti. Noi la condividiamo e siamo per andare avanti, consapevoli del fatto che un crash su un tema di questa delicatezza politica avrebbe certamente conseguenze politiche sulla legislatura». Lo dice, in un' intervista al Messaggero, il ministro dell'Interno Angelino Alfano, che non si sbilancia a dire che il voto di Forza Italia sarebbe il preludio per un ingresso in maggioranza, «ma - rileva - è ovvio che c'è un fatto politico, in questa riforma elettorale, che verrebbe avvalorato e rafforzato se un pezzo sostanzioso del Pd non dovesse votarla». Parlando dell'emendamento Esposito all'Italicum, spiega che «è stato concordato con noi e naturalmente lo voteremo». L'incontro con Berlusconi? «Penso che in questo momento debba prevalere la necessità, di fronte alla deriva che ha preso la Lega», che punta «alla sconfitta della coalizione», di «un' alternativa al Pd per una scadenza importantissima come quella del Quirinale». A questo proposito rileva che «il Pd ha un altissimo numero di grandi elettori, ma l'area moderata unita non ne ha pochi». Alfano ha l'«ambizione» di un nome con radici nel Ppe, «ma allo stesso modo così come non accettiamo imposizioni, abbiamo il garbo di non porre diktat. Certo però ne dovremo parlare». «Se si confermerà l'accordo con Forza Italia e i partiti di maggioranza ci sarà un fatto inaudito: il segretario trova l'intesa con tutti, ma non con una parte significativa del proprio partito. La maggioranza del Pd definisce spesso la minoranza come un ostacolo all'azione rinnovatrice del governo, ma non è così. Su certe scelte di fondo si deve essere coerenti col mandato ricevuto dagli elettori». Lo dice l'ex segretario Pd Guglielmo Epifani, in un' intervista alla Stampa sulla legge elettorale. Quella contro i «nominati» in Parlamento «non è una battaglia simbolica. E in politica si può perdere una battaglia, quando si ha ragione nell' interesse del Paese», dice. L'abbandono di Cofferati? Epifani, sottolinea che ha sbagliato: doveva «combattere dall'interno per aggiustare le cose». «Ha posto problemi seri che dovevano essere affrontati in maniera diversa, ascoltando le sue denunce. Dopo di che, non condivido la sua decisione di uscire dal partito. E neanche alcune delle sue motivazioni», dice. «Che nel Pd ci sia un dissenso anche politico è vero. Ma un conto è denunciare scorrettezze o avere opinioni diverse, un altro denunciare un presunto mutamento genetico del Pd», aggiunge. E sul Quirinale, afferma che il Pd non dovrà «fissare o subire veti»: «Serve il più vasto consenso possibile con tutte le forze politiche, ma a cominciare dalla massima unità nel Partito democratico».