ROMA. Ventiquattrore di tempo per decidere se andare allo scontro finale o tornare a casa perchè sia chiaro che la minoranza «non è un partito nel partito». Sull'Italicum Matteo Renzi ha deciso di andare allo show down contro i dissidenti avvertendoli, incontrando domani Silvio Berlusconi, di essere pronto a tagliarli fuori dalla partita del Colle. Uno scontro che da un lato rafforza i venti di scissione dentro il Pd, dall'altro rischia di causare un corto circuito politico in vista dell'elezione del futuro Capo dello Stato. Il premier arriva all'assemblea dei senatori Pd deciso a mettere la trentina di senatori dissidenti davanti ad una scelta politica. Non è più tempo di tecnicismi o mediazioni. «Ora siamo ad un passaggio chiave per uscire dalla palude e non possiamo permetterci errori nè incidenti», esordisce rivendicando come la riforma elettorale ricalchi per molti aspetti le richieste storiche del Pd.
Ma al di là della disponibilità a concedere altre 24 ore di trattativa per trovare un punto di incontro, Renzi è fermissimo. «Io sono pronto a dialogare con tutti fino all'ultimo ma non mi faccio ricattare da nessuno. Domani si chiude», avverte ripetendo la sua regola d'oro nelle scelte politiche. All'Italicum così come costruito, in un delicato equilibrio con gli alleati delle riforme, non ci sono «alternative». Salvo una. «O questa settimana approviamo la riforma o ci teniamo il Consultellum», chiarisce con un aut aut che viene interpretato come una minaccia di ritorno anticipato alle urne dopo aver eletto il successore di Giorgio Napolitano. La minaccia, che sia vera o no, sembra avere subito effetto: 6 firmatari dell'emendamento Gotor contro le liste bloccate annunciano marcia indietro. «In Aula ci asterremo - annuncia Bruno Astorre - perchè noi non facciamo cadere il governo a 7 giorni dall'elezione del Presidente della Repubblica». Ma i bersaniani tirano dritto e, in una conferenza stampa, Miguel Gotor ribadisce che senza modifiche non voteranno in aula la riforma. «Questa non è una trattativa ma una svendita», attacca ribadendo che sono una trentina, solo nel Pd, i senatori pronti a bocciare la legge elettorale.
Salvo ripensamenti in nottata, dunque, si andrà allo scontro finale in un clima di altissima tensione mentre alla Camera solo Pippo Civati nel Pd vota contro la riforma costituzionale mentre dentro Fi, tra assenti e voto contrario, sono 41 a sfilarsi dal patto del Nazareno. Tra segnali espressi e manifesti dissensi, è evidente che l'incrocio tra riforme e elezione del presidente della Repubblica rischia di essere esplosivo. E davanti al caos dentro il Pd, acquista ancora più valore l'asse che Silvio Berlusconi e Angelino Alfano provano a ricostituire con l'incontro a Milano per contare di più nella scelta del Capo dello Stato, provando magari a far crescere la candidatura di un moderato o di una personalità come Giuliano Amato, gradita al centrodestra ma non amatissima in tutto il Pd. Proprio per sventare in anticipo assi alternativi e mantenere la golden share della partita Quirinale Renzi domani vedrà Silvio Berlusconi. Un incontro preliminare che serve soprattutto come ultimo avviso alla minoranza Pd: o state dentro o fuori.(Ventiquattrore di tempo per decidere se andare allo scontro finale o tornare a casa perchè sia chiaro che la minoranza «non è un partito nel partito». Sull'Italicum Matteo Renzi ha deciso di andare allo show down contro i dissidenti avvertendoli, incontrando domani Silvio Berlusconi, di essere pronto a tagliarli fuori dalla partita del Colle. Uno scontro che da un lato rafforza i venti di scissione dentro il Pd, dall'altro rischia di causare un corto circuito politico in vista dell'elezione del futuro Capo dello Stato.
Il premier arriva all'assemblea dei senatori Pd deciso a mettere la trentina di senatori dissidenti davanti ad una scelta politica. Non è più tempo di tecnicismi o mediazioni. «Ora siamo ad un passaggio chiave per uscire dalla palude e non possiamo permetterci errori nè incidenti», esordisce rivendicando come la riforma elettorale ricalchi per molti aspetti le richieste storiche del Pd. Ma al di là della disponibilità a concedere altre 24 ore di trattativa per trovare un punto di incontro, Renzi è fermissimo. «Io sono pronto a dialogare con tutti fino all'ultimo ma non mi faccio ricattare da nessuno. Domani si chiude», avverte ripetendo la sua regola d'oro nelle scelte politiche. All'Italicum così come costruito, in un delicato equilibrio con gli alleati delle riforme, non ci sono «alternative». Salvo una. «O questa settimana approviamo la riforma o ci teniamo il Consultellum», chiarisce con un aut aut che viene interpretato come una minaccia di ritorno anticipato alle urne dopo aver eletto il successore di Giorgio Napolitano.
La minaccia, che sia vera o no, sembra avere subito effetto: 6 firmatari dell'emendamento Gotor contro le liste bloccate annunciano marcia indietro. «In Aula ci asterremo - annuncia Bruno Astorre - perchè noi non facciamo cadere il governo a 7 giorni dall'elezione del Presidente della Repubblica». Ma i bersaniani tirano dritto e, in una conferenza stampa, Miguel Gotor ribadisce che senza modifiche non voteranno in aula la riforma. «Questa non è una trattativa ma una svendita», attacca ribadendo che sono una trentina, solo nel Pd, i senatori pronti a bocciare la legge elettorale. Salvo ripensamenti in nottata, dunque, si andrà allo scontro finale in un clima di altissima tensione mentre alla Camera solo Pippo Civati nel Pd vota contro la riforma costituzionale mentre dentro Fi, tra assenti e voto contrario, sono 41 a sfilarsi dal patto del Nazareno. Tra segnali espressi e manifesti dissensi, è evidente che l'incrocio tra riforme e elezione del presidente della Repubblica rischia di essere esplosivo. E davanti al caos dentro il Pd, acquista ancora più valore l'asse che Silvio Berlusconi e Angelino Alfano provano a ricostituire con l'incontro a Milano per contare di più nella scelta del Capo dello Stato, provando magari a far crescere la candidatura di un moderato o di una personalità come Giuliano Amato, gradita al centrodestra ma non amatissima in tutto il Pd. Proprio per sventare in anticipo assi alternativi e mantenere la golden share della partita Quirinale Renzi domani vedrà Silvio Berlusconi. Un incontro preliminare che serve soprattutto come ultimo avviso alla minoranza Pd: o state dentro o fuori.
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