ROMA. «Stia tranquillo il presidente Renzi». Silvio Berlusconi resta saldamente dentro il patto del Nazareno, prova a bloccare le mire dei 'frondisti' azzurri e assicura a Matteo Renzi che nei prossimi dieci giorni aiuterà ad approvare le riforme e la legge elettorale. Nessuna «guerra», nessuna rottura, insomma, alla vigilia della scelta del nuovo presidente della Repubblica. Il Cavaliere, che in settimana incontrerà Angelino Alfano, intende partecipare alla scelta, secondo il metodo di condivisione indicato dal leader del Pd. Ma l'intreccio delle partite del Colle e delle riforme annuncia al presidente del Consiglio una navigazione tutt'altro che tranquilla nelle prossime due settimane. Da un lato perchè non sembrano bastare le parole di Berlusconi a placare i frondisti di FI. Dall'altro perchè al Senato la minoranza Pd non molla e annuncia battaglia sui capilista bloccati dell'Italicum, avvertendo che si rischia di arrivare all'appuntamento del Quirinale con una «ferita interna» sanguinante. La prossima settimana, secondo il metodo indicato da Renzi alla direzione Pd, inizieranno le 'consultazioni' della delegazione Dem con i partiti. «Il percorso ci consentirà di avere fin dalle prime votazioni un ottimo risultato», scommette Roberto Speranza. Il premier svelerà il suo candidato non prima del 28 gennaio, con l'obiettivo di farlo eleggere alla quarta votazione, ma senza escludere il 'blitz' alla prima, se le circostanze lo permettessero. A nomi 'quotati'come quelli di Giuliano Amato e Sergio Mattarella la minoranza Pd difficilmente potrebbe dire di no, visto che furono indicati a suo tempo da Bersani. Ma la partita, sono convinti i bersaniani, si giocherà alle ultime battute e fino ad allora non solo i renziani, ma anche la minoranza dem, terranno il gioco coperto. Per ora, nelle dichiarazioni ufficiali, si assumono posizioni di principio. E mentre continuano a rimbalzare i nomi di Veltroni e Finocchiaro, Fassino e Padoan, Prodi e Visco, i bersaniani insistono su un profilo autonomo rispetto al governo e con il resto della minoranza, da Cuperlo a Boccia ai Giovani turchi, premono sulla statura internazionale. Il nome non deve essere per forza «della ditta» ex Ds, dichiara Gianni Cuperlo. Non un ex comunista, afferma Renato Brunetta. E Nunzia De Girolamo da Ncd osserva che «siamo sulla buona strada». Ma appena all'inizio, tanto che Sergio Lo Giudice prova a proporre «un gay», avanzando la candidatura di Paolo Poli, e Cecile Kyenge «un nero». La partita, però, rischia di essere condizionata da fattori esterni. Lo ammette Lorenzo Guerini quando afferma che l'addio al Pd di Cofferati rischia di «danneggiare» il partito anche in vista della «sfida» del Colle. Ma soprattutto lo segnala la minoranza dem, quando avverte Renzi che la chiusura al dialogo sulla legge elettorale rischia di guastare il clima. Lunedì alle 14 i senatori in assemblea ribadiranno infatti a Renzi la richiesta di modificare il sistema dei capilista bloccati dell' Italicum. Ma se il premier chiuderà alle modifiche, quello stesso pomeriggio in 30 confermeranno in conferenza stampa l'intenzione di andare avanti e votare i loro emendamenti, anche a costo di far andare sotto il governo. A rassicurare Renzi interviene Berlusconi, che con una nota blocca le tentazioni di chi, come Brunetta, vorrebbe sabotare il percorso delle riforme. «Intendiamo rispettare gli impegni», anche sui «tempi», «Renzi - afferma il Cav - stia tranquillo». Una frase che riecheggia pericolosamente, maligna qualcuno della minoranza dem, lo «stai sereno» che Renzi indirizzò a Enrico Letta prima di prenderne il posto. E che i 'fittianì seguano il leader questa volta non è scontato. Il ministro Maria Elena Boschi conferma l'intenzione di andare «avanti tutta» sulle riforme, dopo che «sono state ferme per 20 anni». Ma Pippo Civati replica che fatte «in fretta e molto male non servono». E Miguel Gotor sospetta che insistere nell' intrecciare il voto dell'Italicum a quello per il Colle sia un modo per «tenere sotto schiaffo» i tanti che, nel Pd, nutrono «ambizioni e aspirazioni». Il «mercato delle vacche presidenziali», è l'accusa di Beppe Grillo, è il «prezzo» che Renzi sta pagando per avere «i voti di Forza Italia».