ROMA. L'incrocio pericoloso tra riforme e partita per il Quirinale innesca un fuoco incrociato di opposizioni e FI su Pd e governo con l'obiettivo di sospendere i lavori su legge costituzionale e Italicum fino a che non si avrà il successore di Giorgio Napolitano. È una vera e propria rivolta anti-Nazareno, quella che si leva in vista della data chiave del 29 gennaio. Una rivolta che coinvolge opposizioni, frondisti FI e la minoranza Pd. E se dal governo arriva un fermo niet a qualsiasi rallentamento dei lavori i gruppi di opposizione sono ormai decisi a chiedere uno 'stop' ciascuno per riunirsi sul Colle. Finendo per posticipare l'ok alle riforme a dopo l'elezione del Capo dello Stato. L'intenzione, da M5S a Sel fino a Fdi, è quella di formalizzare la domanda, per la prossima settimana, di almeno una mezza giornata per riunioni interne. Una direzione verso la quale anche FI ha deciso di virare, annunciando la richiesta, con il capogruppo Renato Brunetta di sospendere i lavori dell'Aula mercoledì pomeriggio, in vista di un incontro dei deputati con Silvio Berlusconi. Sel, invece, potrebbe chiedere lo stop dei lavori per venerdì 23 (con weekend incluso) per l'iniziativa milanese Human Factor che, per i vendoliani, sarà una sorta di congresso. E non è escluso che anche Ncd, tutt'altro che allineata al Pd sulla volontà di chiudere la partita riforme prima di aprire quella per il Colle, faccia una simile richiesta alla presidente Laura Boldrini. Tanto che, in Transatlantico, più di un parlamentare ammetteva come, con un clima da pre-elezione presidenziale, sarà difficile arrivare all'ok della Camera al ddl riforme. Governo e Pd, forti di un calendario rimasto finora immutato, restano tuttavia fermi sulla posizione indicata dal premier Matteo Renzi: avere entro il mese di gennaio il sì del Parlamento a riforme e Italicum e il nuovo Capo dello Stato. Un progetto che porta il capogruppo Roberto Speranza a reagire con durezza alla sortita di Brunetta: «Se FI pensa di rinviare le riforme per alzare la posta sul Quirinale sbaglia di grosso, sono due terreni ben distinti». È il Quirinale, insomma, il grande volano del caos sulle riforme. Quel Quirinale sul quale se il Pd mostra e chiede prudenza, gli altri partiti cominciano già a muovere le proprie pedine, a cominciare da Ncd, che, in una direzione non priva di nervosismi conferisce ad Angelino Alfano il 'mandatò a negoziare sul futuro presidente con tutti i partiti della maggioranza al governo e di quella sulle riforme. Formula che, di fatto, include anche Silvio Berlusconi. Quel Berlusconi senza il quale, è l'avvertimento che il vice segretario Pd Debora Serracchiani lancia anche alla minoranza Dem in vista della direzione di domani, non si potrà eleggere un nuovo Capo dello Stato. Ma la sinistra Dem, al momento, non scende dalla trincea. Stefano Fassina sottolinea: «dovremo esplorare con disponibilità vera la possibilità di andare oltre il Patto del Nazareno» laddove Pippo Civati, sul suo blog, invita il premier-segretario a tener conto dei parlamentari FI ma senza dimenticare tutti gli altri. E se Brunetta avverte che, secondo il Patto del Nazareno il futuro Capo dello Stato dovrà essere «super partes», Beppe Grillo attacca: i nomi usciti finora «sembrano uscire dal tunnel dell'orrore». Un affondo che coinvolge tutti i 'quirinabilì emersi nei giorni scorsi, da Veltroni a Mattarella, da Amato a Finocchiaro, fino a Romano Prodi. Sul quale il leader del M5S fa una riflessione supplementare: «oggi sarebbero più di 202 a votargli contro». E, allora, quale nome andrà bene ai pentastellati: «Renzi ci faccia il nome, valuteremo», è l'invito di Danilo Toninelli. Intanto, il Cavaliere cerca di stringere i bulloni del partito azzurro per tenere in piedi il patto stretto con Renzi, anche se il faccia a faccia di oggi con il leader dei frondisti, Raffaele Fitto, non ha portato a nessun passo avanti.