Nella polemica i siciliani contano pochi rivali. Il dizionario Treccani definisce la polemica, una vivace opposizione delle proprie ragioni a quelle di un reale o ipotetico avversario. Nella contestazione contro le ricerche petrolifere in Sicilia, gli elementi ci sono tutti. C’è la «vivacità», c’è «l’opposizione» e c’è pure l’avversario «reale o ipotetico» che non si sa bene chi sia, lo Stato o la Regione. La confusione deve essere davvero tanta se, da un lato, la giunta di governo ha deciso all’unanimità di non ostacolare le ricerche petrolifere in mare e di facilitare quelle sulla terra ferma, mentre dall’altro lato, la Soprintendenza del Mare, un’area dell’assessorato ai Beni Culturali della Regione, si iscritta all’elenco dei contrari. Come un riflesso incondizionato scatta puntuale la contrapposizione a tante iniziative che vorrebbero e potrebbero arrecare vantaggi alla Sicilia. È stato il caso del Ponte di Messina, reo di “inquinare” il paesaggio, a prescindere dal fatto che ne avrebbero beneficiato otto milioni di persone e cinque milioni di mezzi all’anno. È stato così con i rigassificatori che ci avrebbero messo al riparo dalla speculazione internazionale, ma individuati come il male estremo. È stato così con i termovalorizzatori, salvo ad accontentarsi delle più inquinanti, ma comunque meno visibili, discariche dove conferiamo tutti i nostri rifiuti. È così oggi per il piano di estrazione delle risorse energetiche (petrolio e metano) presenti nel sottosuolo siciliano. Inneggiando all’untore, si è messa in moto la consueta macchina della contestazione, nel nome di quello sviluppo sostenibile che, a detta di quanti rifiutano le estrazioni petrolifere, sarebbe messo a rischio, mentre il nostro futuro dipenderebbe tutto dal turismo e dai beni culturali, fin quì “notoriamente” valorizzati dalle politiche regionali. È curioso che nessuno si sia accorto nel frattempo che la Sicilia, con uno sviluppo costiero di oltre mille chilometri, vede due terzi dei comuni rivieraschi scaricare a mare i reflui umani, mentre mille e duecento milioni di euro per realizzare una rete completa di depuratori - questa sì, a servizio e tutela di un mare pulito - sono da più di sette anni nei cassetti, suscitando le conseguenti “rappresaglie” del governo nazionale. Probabilmente un flash mob per chiedere il trattamento di escrementi umani risulta assai meno eccitante di una manifestazione di piazza contro le “trivelle”.