ROMA. Sul nuovo presidente della Repubblica si cercherà il consenso «più largo possibile»: «da Forza Italia fino ai 5 Stelle, Sel, Fdi, Lega, centristi e naturalmente il Pd». Matteo Renzi fa un elenco puntuale. Sa che nella partita che si sta aprire per il Quirinale spetterà a lui dare le carte. E non si preclude nessuna strada. Assicura che intende aprire una «riflessione» con tutti, anche se alla fine «sarà difficile che tutti accettino» lo stesso nome e quindi non sarebbe «un fallimento» non riuscire a eleggerlo entro la terza votazione. Silvio Berlusconi conta di essere in gioco da interlocutore privilegiato, in nome di quello «spirito del Nazareno» che fa registrare in giornata la presenza, per circa due ore, a Palazzo Chigi di Denis Verdini. Ma nessuno vuol essere tagliato fuori.
E così se Ncd invoca un cattolico e Beppe Grillo punta a scompaginare i giochi, l'Idv invoca Mario Draghi. Il presidente della Bce a metà mattinata viene avvistato in piazza Colonna, a Roma. Esce dallo store dell'As Roma, dove pare abbia acquistato un abbonamento da regalare. E da Palazzo Chigi assicurano che non ha mai varcato il portone della sede del governo. Ma la presenza di Draghi a pochi passi dagli uffici di Renzi e poi il fatto che il premier nel primo pomeriggio esca per circa un'ora per un incontro riservato, fa impazzare per tutto il giorno le congetture su un possibile faccia a faccia. Nel perimetro di Palazzo Chigi, per partecipare a due diversi convegni, vengono avvistati anche Giuliano Amato e Franco Marini. E così il 'toto Quirinalè trasforma i 'papabilì in osservati speciali. Anche se, come sottolinea Renzi, parlarne è ancora prematuro, materia per appassionati di politica. Perchè Giorgio Napolitano sta continuando a «fare il suo dovere» con «lo stesso impegno» che ha mostrato nei nove anni trascorsi: «Lavora, agisce, controlla le carte». E a un «grandissimo italiano» come lui si deve fino all'ultimo «rispetto istituzionale, politico e personale».
Chi lo insulta dovrebbe «ricordare» che ha «salvato le istituzioni dopo che i partiti, con una figuraccia storica», hanno fallito il colpo nel 2013. Questa volta non si ripeteranno scene come quella dei 101, assicura a tutti gli interlocutori il presidente del Consiglio. Ma i renziani avvertono che la partita vera il loro leader la giocherà solo a tempo debito. Ascolterà, di certo, il suo Pd. E si assumerà l'onere di una proposta agli altri partiti, magari anche nella forma di una terna di nomi. La ricerca di un consenso amplissimo è obbligato, anche per la necessità di neutralizzare il maggior numero possibile di franchi tiratori. Ma poi nessuno schema è scontato. E non è una tragedia, non un «fallimento», se si dovrà scavallare la terza votazione per evitare il vincolo della maggioranza dei due terzi. Il Patto del Nazareno, dice Silvio Berlusconi, ha «come conseguenza logica che non potrà essere eletto un capo dello Stato che a noi non sembri adeguato e che non sia un garanzia per tutti». Forza Italia auspica un nome non di parte (alla Prodi), non tecnico (alla Severino) e dal quale gli azzurri si possano sentire garantiti. Serve un «cattolico», dice Angelino Alfano. E Maurizio Lupi avverte che il Pd commetterebbe un «errore» se considerasse la proposta una sua «esclusiva».
Al Colle non vada «un servo di Bruxelles», intima Matteo Salvini. E i 5 Stelle, con Luigi Di Maio, lavorano a rompere gli schemi, per arrivare a una figura «diametralmente opposta» a Napolitano. «Spero si elegga un presidente autorevole e dotato di autonomia e indipendenza», dice la sua anche Enrico Letta. Che ha un motivo valido per tirarsi fuori dalla mischia: «Io? Non ho l'età...».
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