ROMA. La ”Terza Via” «è un'esperienza di 15 anni fa. Allora diede i suoi frutti, anche nel nostro Paese», ma «fu pensata in una prospettiva ottimistica della globalizzazione, che si è rivelata fallace».
Massimo D'Alema oggi è critico sulla politica economica attuata negli anni '90 con il tentativo di conciliare il capitalismo liberale e il socialismo democratico: «L'eccesso di liberalizzazione - dice in un' intervista al Corriere della Sera - ha portato a enormi diseguaglianze sociali, a grave instabilità economica e, in ultima analisi, alla crisi del 2008».
D'Alema ritiene «incredibile» che «nel tentativo di offrire un retroterra teorico nobile al governo Renzi, oggi si faccia un' operazione anacronistica», proponendo un ritorno alla "Terza Via".
«Sul piano culturale è sconcertante», osserva: «Primo, la riduzione del ruolo dello Stato era il tema di vent'anni fa. Secondo lo abbiamo fatto. In qualche caso forse troppo. Terzo, alcuni dei protagonisti riflettono criticamente su quell' esercizio».
Al contrario, è la sua analisi, «la crisi di oggi ha radici nella debolezza della politica e dell'azione pubblica, sia a livello europeo sia nazionale. E non si può uscirne senza politiche in grado di promuovere gli investimenti, anche pubblici. Altro che meno Stato».
Secondo D'Alema, dunque, le cure non possono essere riforme e Jobs Act: non credo - dice - che «arriveranno investimenti a pioggia o cresceranno tumultuosamente i posti di lavoro».
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