ROMA. «Oltre a non condividere il merito, io ho voluto prendere le distanze dal messaggio che il premier ha costruito in questi mesi. Le sue parole hanno scavato un solco tra il governo, il segretario del Pd e il mondo del lavoro, la parte più sofferente dell'Italia». Lo dice Rosy Bindi, che al momento del voto sul Jobs Act ha lasciato l'aula, come spiega lei stessa in un'intervista al Corriere della sera.
A una domanda sull'eventuale scissione, l'esponente democratica risponde che «se il Pd torna a essere il partito dell' Ulivo, che unisce e accompagna il Paese, non ci sarà bisogno di alternative. Ma se il Pd è quello di questi ultimi mesi, è chiaro che ci sarà bisogno di una forza politica nuova». «L'astensionismo è un problema per la democrazia di un Paese, per il Pd e anche per il governo», aggiunge la presidente della Commissione Antimafia criticando l' «affermazione molto grave» del premier che l'ha considerata un elemento secondario.
Bindi rimarca che «se alle Regionali avessero votato gli stessi elettori delle Europee dovremmo dire che oggi il Pd è tornato al 30%, un numero più vicino al 25 di Bersani che non al 41 di Renzi». Quindi, «il voto di domenica dimostra che è iniziata la parabola discendente, anche di Renzi», che Bindi paragona a Grillo, Salvini, e al «Berlusconi dei primi anni. La rottura della politica col Paese reale è profonda e sembra rimarginarsi quando gli italiani si affidano al salvatore di turno, per poi delusi andare a ingrossare l'unico partito che vince, quello dell' astensione».
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