ROMA. La data della sua uscita dal Quirinale ovviamente non è fissata ma il ragionamento su modi e tempi della fine anticipata del secondo mandato presidenziale è aperto da tempo. Giorgio Napolitano diede la linea con chiarezza già nell'aprile 2013 nel suo durissimo discorso d'insediamento: la scelta delle sue dimissioni dipenderà solo da lui, dalle sue forze e dalla concretezza che sapranno dimostrare le forze politiche nel percorso riformatore. «Resterò fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno», chiarì alle Camere riunite dopo la clamorosa deblacle delle fumate nere che bruciarono prima Marini e poi Prodi. Si tratterà per certo di un'uscita morbida: Napolitano da tempo ragiona sul suo ruolo, sulle sue forze e sulle tante scadenze che attendono il Parlamento nei prossimi mesi. Perchè, al di là di considerazioni che sono e rimangono personalissime, le dimissioni di un presidente della Repubblica non sono un accadimento da prendere a cuor leggero, senza un'attenta analisi dei pro e dei contro e senza una minuziosa valutazione del periodo in cui queste dimissioni possano aver il minor impatto possibile sulla laboriosità delle Camere e la tenuta dell'esecutivo. Napolitano infatti non intende in alcun caso diventare - suo malgrado e neanche indirettamente - nè un ostacolo nè tantomeno un freno per la già farraginosa macchina parlamentare. Impensabile quindi - salvo ragioni eccezionali che al momento non sono all'ordine del giorno - che il presidente possa dimettersi all'improvviso attraverso una stringata nota trasmessa dalle agenzie. Occorrerà una preparazione progressiva dell'evento (si parla di un annuncio a dicembre e di dimissioni a gennaio), che bilanci la necessità del Quirinale di non apparire dimissionario prima del tempo (e quindi depotenziato nelle sue delicatissime prerogative costituzionali) e la sentita preoccupazione che la complessa procedura per l'elezione di un nuovo presidente possa configurarsi d'ostacolo alla primaria necessità del Parlamento di legiferare. Senza contare i timori inespressi dal Colle ma registrati in tutti gli ambienti politici che senza un'adeguata e ragionata preparazione dell'uscita si possa riproporre l'incubo del 2013, quando un Parlamento annichilito polverizzava nomi illustri sull'altare del voto segreto e della sfida alla disciplina di partito. Come non pensarlo anche oggi dopo che ben 21 votazioni a Camere congiunte non sono ancora riuscite a completare l'organico della Corte costituzionale? Sarà la grande partita politica dei prossimi mesi. Il tema della successione di Giorgio Napolitano al Quirinale finora era rimasto sottotraccia, anche se l'attuale inquilino del Colle non ha mai fatto mistero di voler lasciare l'incarico a tempo debito. Tra i primi ad intervenire c'è Matteo Renzi. Al presidente del consiglio, durante la sua visita al cantiere della variante di Valico sull'Appennino tosco-emiliano, viene chiesto se è preoccupato per la possibilità che Napolitano lasci: "Io non mi preoccupo del futuro del Capo dello Stato, mi preoccupo di fare bene il mio lavoro. Napolitano è una garanzia per tutto il Paese", risponde il premier mostrando da un lato la solidità del suo rapporto con il Colle ma anche la consapevolezza che Napolitano potrà lasciare. Anche il presidente del Senato Pietro Grasso guarda a un futuro in cui Napolitano non sarà più al Quirinale: "Sono certo che il presidente della Repubblica - osserva Grasso - darà e continuerà a dare il massimo per essere utile al nostro Paese in qualsiasi modo e con qualsiasi funzione". Attestati di stima anche dal ministro Maria Elena Boschi che si augura Napolitano "possa rimanere il più a lungo possibile a svolgere il suo ruolo per tutti noi come capo dello Stato". I partiti si posizionano immediatamente. Forza Italia, con Giovanni Toti, chiede che Napolitano resti lì dove sta, perché "è un elemento di stabilità". Il partito di Berlusconi si sente garantito dalla presenza di Napolitano. Ma se proprio dovesse decidere per l'addio, allora, il successore dovrà essere "un nome di garanzia". Con l'avvertenza, ovviamente rivolta a Renzi: "Nessuno pensi a forzature di maggioranza". Già , perché Forza Italia, dopo la doccia fredda del voto per il giudice della Consulta che ha visto il successo dell'asse tra Pd e M5s, non vuole che la politica dei "due forni" prosegua anche per il Quirinale. Posizione pressoché coincidente con quella del Ncd: anche il partito di Alfano chiede a Napolitano di restare e chiede comunque, come sottolinea Schifani, che per la successione si trovi una convergenza "su figure di alto profilo che non determinino scontri di ideologie o partitiche e che siano un elemento di garanzia". Si affida alla decisione del Capo dello Stato, Pier Luigi Bersani: "Farà per il meglio", ha detto l'ex segretario Pd. Il movimento cinque stelle per ora non si sbilancia. Resta però la durezza di Grillo contro Napolitano, definito sul suo blog "un presidente della Repubblica eletto(si) per la seconda volta contro lo spirito della Costituzione che decide lui quando dimettersi ricattando di fatto il Parlamento".