FIRENZE. Non è proprio certo che in piazza ci fossero un milione di persone - «il giochetto dei numeri lo conosco», commenta con i suoi - a protestare contro il suo jobs act. Ma Matteo Renzi, al timone della seconda giornata
della Leopolda, evita lo scontro sia con la Cgil sia con la sinistra dem.
«È stata una bella piazza, ci confronteremo ma non ci fermiamo», è la linea del premier, convinto però che non
è la protesta di San Giovanni ma la proposta della Leopolda «a creare posti di lavoro». Talmente deciso a tirare dritto che vede due mandati al suo orizzonte, «fino al 2023 al massimo».
Era fisiologica la contrapposizione tra la manifestazione della Cgil e la kermesse renziana. E, nell'organizzazione della sua «piazza», il leader Pd ha voluto marcare anche plasticamente le differenze tra i due eventi: mentre a Roma sindacalisti e lavoratori sfilavano contro il governo, sul palco di Firenze si è alternato il gotha dell'imprenditoria italiana, da Patrizio Bertelli al re del cachemire Brunello Cucinelli. Imprenditori milionari o comunque storie di lavoratori tenaci che hanno successo anche in tempi di crisi. «L'Italia che non si arrende e si rimette in moto, che crea speranza e posti di lavoro», elogia il presidente del consiglio, che non resiste all'idea di restare sotto il palco e conduce i lavori in più passaggi della giornata.
È alla Leopolda l'Italia in cui Renzi si riconosce. Per spirito e determinazione. Una manifestazione in cui non ci sono simboli del Pd e che parla a mondi trasversali. Oltre il Pd. Certo l'amico Davide Serra, da oggi tesserato dem, non fa un favore a Renzi ipotizzando, proprio nel giorno della prova di forza della Cgil, limiti al diritto di sciopero. «Non è la
nostra posizione, chi la cavalca lo fa solo per attaccarci», reagisce infastidito il premier con i suoi, chiedendo poi a
Lorenza Bonaccorsi di chiarire dal palco che «il Pd rispetta i diritti costituzionali».
Ma il low profile, scelto da Renzi verso la manifestazione romana e seguito anche dai fedelissimi riuniti alla Leopolda,
non sposta la linea del governo. Sul jobs act il governo va avanti. «Non è pensabile che una piazza blocchi il paese», avverte Renzi, che non recederà neanche davanti allo sciopero generale. Meno che meno il premier ha intenzione di farsi dettare la linea dalla minoranza Pd. Di cui riconosce la distanza dall'anima dem che ha deciso di non scendere in piazza. «Sono due anime diverse ma rispettabili, un grande partito ha il dovere di avere opinioni diverse», è il riconoscimento del rottamatore.
Libertà di posizioni diverse ma, chiarisce, nel rispetto dei pesi di forza. «Quando sono stato minoranza non sono scappato, poi ho vinto il congresso e le parti si sono invertite», sostiene facendo capire che a decidere alla fine è lui. Nel
partito della nazione, per Renzi Stefano Fassina e Davide Serra possono e devono convivere. Così «il Pd ha preso il 40%» alle elezioni europee e «lo ha fatto perchè le persone che andavano in tv a far polemica sono state messe ai lati».
E questa è la strategia che il premier vuole seguire per un «Pd che vinca». E che lui vuole continuare a guidare ancora a lungo. Parlando a margine della manifestazione, il premier mette la scadenza alla sua mission: «Faccio al massimo due mandati, fino al 2013». Non di più nello spirito del ricambio generazionale della Leopolda. Ma, se tutto va come dice lui, anche non di meno.
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