PALERMO. «L’Irfis Finsicilia è un ente in house della Regione e in quanto tale tenuto al rispetto del codice dei contratti pubblici». Allo stesso tempo l’ente non può «svolgere ulteriori attività di intermediario finanziario sul mercato, al pari degli altri operatori economici». Tradotto in termini spiccioli significa che secondo l’Anac (l’Autorità nazionale anticorruzione), sarebbero illegittime le operazioni milionarie portate avanti dall’Irfis nel 2012. In sostanza l’istituto avrebbe spostato un centinaio di milioni di euro su conti correnti di altre banche siglando contratti senza seguire procedure di evidenza pubblica e senza l’autorizzazione del governo. E a prescindere dall’importo vanno «applicate le regole che governano l’affidamento di servizi di importo superiore alle soglie comunitarie».
Secondo l’Autorità è stato anche inutile, successivamente, il tentativo del governo regionale di sanare la posizione dell’Irfis con una legge che ha affidato all’ente tutta una serie di nuove competenze. Dal canto suo, l’ex presidente di Irfis, Francesco Maiolini, non teme il rischio di danno erariale: «Al contrario - replica - al mio arrivo i depositi avevano un tasso di interesse dello 0,26 per cento. Ma dopo aver coinvolto 40 gruppi bancari, il tasso è salito al 4,7 per cento. Era agosto - ha ricordato Maiolini - e il Cda scrisse nella delibera che l’operazione era portata avanti nelle more di verificare se fare o meno la gara. In sostanza era ben consapevole che si sarebbe potuta dover fare la gara. Aveva solo evitato di lasciare per un altro mese i soldi allo 0,26 perchè sapevo bene che la Regione stava perdendo milioni di euro ogni mese».
La vicenda ha inizio con un esposto da parte dell’ex assessore all’Economia, Gaetano Armao, che denunciò una «distrazione di somme» del bilancio della Regione successivamente «affidate a non identificati istituti di credito, senza alcuna comunicazione all’amministrazione regionale». Un intervento che sarebbe stato da almeno cento milioni avvenuto a suo avviso «mediante semplici operazioni bancarie e senza che in merito sia intervenuta alcuna autorizzazione da parte della Regione, nè informativa in merito». Da qui l’intervento dell’Anac che ha chiesto ulteriori chiarimenti fino alla pronuncia finale che comunque, ha detto Maiolini, «è un parere non c’è alcuna sanzione».
Tutta la questione è incentrata sulla natura giuridica dell’Irfis, se ente pubblico o meno, e dunque se soggetto alle norme in materia di appalti pubblici. Secondo l’ente, pur essendo in house, «non sarebbe obbligato a seguire le procedure ad evidenza pubblica in tutti i casi in cui si trovi a dover interloquire con operatori economici di un mercato liberalizzato come quello bancario». L’Irfis ha fatto l’esempio di «Poste ltaliane spa, la quale opera come soggetto privato se affida appalti per servizi finanziari (liberalizzati), mentre è ancora tenuta al rispetto del Codice dei contratti pubblici nell'affidamento di servizi postali in senso stretto». Ma secondo l’Autorità anticorruzione, presieduta da Raffaele Cantone, «Irfis Finsicilia deve qualificarsi come ente in house della Regione» e «in quanto tale tenuto al rispetto del codice dei contratti pubblici e al divieto in base al quale non può ammettersi il contestuale svolgimento da parte del medesimo ente di ulteriori attività di intermediario finanziario sul mercato, al pari degli altri operatori economici». E secondo l’Autorità «la costituzione di gestioni separate e/o di società partecipate non è idonea a superare il predetto divieto».
Il governo regionale, ha ricordato l’Anac, tramite una legge approvata dall’Ars, ha provato a «superare le criticità evidenziate sulla natura giuridica dell’Irfis». Ma la norma è risultata «non idonea a superare le criticità correlate alla coesistenza in un medesimo soggetto giuridico della duplice natura di impresa pubblica e di società in-house». In sostanza, ricorda l’Autorità, «la disciplina relativa alle società delle amministrazioni regionali e locali introdotta con il decreto Bersani è rivolta a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione». Per cui quei depositi milionari affidati dall’Irfis sarebbero illegittimi. Ma Maiolini ha spiegato che «quando sono arrivato ho trovato già i deposti presso le banche senza alcuna gara e mi risulta anche dopo. Forse abbiamo urtato qualche sensibilità».
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