PALERMO. «La situazione della Sicilia, in tema di Protezione civile, è lo specchio del paese: in questo siamo proprio una nazione unita ed indivisibile...»: è un’ironia profondamente amara quella del prefetto Franco Gabrielli, capo del dipartimento che si occupa della prevenzione dei rischi, del soccorso delle popolazioni colpite da sismi o da un’alluvione, come nel caso di Genova.
Prefetto, lei ha detto che dietro questa ennesima alluvione di Genova «c’è un deficit culturale del nostro Paese sul tema della protezione civile». Cosa intendeva dire?
«Che lo Stato è impotente: nelle condizioni attuali, come s'è visto giovedì a Genova, non è in grado di tutelare le vite dei cittadini. E la Protezione civile è senza mezzi: è come se mi avessero mandato sul fronte con una scatola di aspirine per una guerra non voluta da me...».
E in Sicilia? Che livello di attenzione c’è?
«In Sicilia come in Italia i temi della Protezione civile vengono vissuti come se si fosse davanti a qualcosa di incerto o futuro: purtroppo, invece, ogni volta si dimostra che non è così. La gente dovrebbe avere una sensibilità maggiore sui rischi che si corrono, e dovrebbe essere da stimolo per le amministrazioni affinché diano le risposte che dovrebbero dare...».
Risposte che invece, come ha sostenuto a Genova, non arrivano...
«Nel 2013 il governo nazionale s'è dimenticato di finanziare il Fen, il Fondo per l'emergenza nazionale. Lo ha fatto poi nel 2014 stanziando 70 milioni di euro. Ma le emergenze nazionali dichiarate negli ultimi tre anni hanno provocato danni accertati per due miliardi e 300 milioni. Per questi danni ci sono solo 70 milioni. E questo fondo, nella metafora della guerra, sarebbe la famosa cassetta delle aspirine...».
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