Lunedì 23 Dicembre 2024

Renzi: "Ho contro certi poteri forti
Vescovi? Molti dalla mia parte"

TORINO. I vescovi ribadiscono la loro esortazione alla politica italiana: sul lavoro è tempo di un nuovo patto sociale. Fondato su due consapevolezze: da un lato l'articolo 18 «non è un dogma di fede», dall'altro ogni decisione che sarà presa «deve mirare a  un solo obiettivo: creare posti di lavoro». Questo il monito che due arcivescovi del calibro di Angelo Bagnasco a Genova e Cesare Nosiglia a Torino lanciano all'Italia il giorno dopo l'esortazione mossa dalla Cei. A Genova Bagnasco ha incontrato rappresentanti del mondo sindacale. «Non ci sono dogmi di nessun genere per quel che riguarda le prassi sociali - ha detto all'art.18 -. Bisogna valutare questa questione in chiave propositiva, perchè qualunque decisione, qualunque modo di affrontare l'articolo 18, deve mirare a creare posti di lavoro. Altrimenti non serve a niente. Vincerà un'idea ma non vincerà il bene di tutti». Analoga l'esortazione a Torino dell'arcivescovo Nosiglia, che ha invitato politici e istituzioni ad una «Agorà del sociale».  «È tempo che la politica ritrovi il suo senso più alto - ha detto -. Il lavoro è priorità assoluta. Ma va cambiato, troppo spesso è bloccato da veti incrociati e incrostazioni. La riforma deve essere fatta insieme. Chi ha la responsabilità delle decisioni non deve aspettare che tutti siano d'accordo, ma tutti devono essere consapevoli che siamo di fronte a un cambiamento del sistema. E anche il mondo del lavoro deve cambiare». A confrontarsi con lui, tra gli altri, erano presenti il presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, il presidente dell'Anci, Piero Fassino, la presidente dell'Unione Industriale, Licia Mattioli, il rettore dell'Università, GianmariaAjani, il presidente di Fondazione San Paolo, Luca Remmert. Nosiglia ha detto loro che «serve un nuovo patto sociale», e la sua messa a punto «è responsabilità di tutti». Un monito condiviso e accolto da tutti, da Piero Fassino a Licia Mattioli, ai sindacalisti presenti in sala. «Di fronte ai numeri di questa crisi - ha detto Fassino - serve un grande patto per lo sviluppo che unisca la società. È una necessità imprescindibile, perchè è a rischio la coesione sociale. Oggi la forbice tra chi ce la fa e gli ultimi è sempre maggiore». Spetta alla politica trovare la ricetta. Come? «Attraverso uncambiamento radicale - ha detto Chiamparino -. Basta con la retorica della decrescita felice. È ora di tornare a parlare di sviluppo investendo nel manifatturiero. Bisogna recuperare risorse da investire sull'industria, sull'agricoltura, sulla formazione, sulle politiche sociali. Ma per questo serve una riforma radicale dei campi di spesa maggiori, a cominciare da sanità e trasporti». «Negli ultimi giorni si sono schierati contro il governo direttori di giornali, imprenditori, banchieri, prelati. Ai più è apparso come un attacco studiato. Io sono così beatamente ingenuo che preferisco credere alle coincidenze». Intervistato da Repubblica, il premier Matteo Renzi assicura: «Non mollo». E sull'eventualità che i «poteri forti» vogliano sostituirlo con il governatore Visco, «ci provino pure», ma «il Pd non accetterà di farsi da parte». «Io non sono un massone, sono un boy scout. La verità è che io non omaggio certi poteri e questa è la reazione», dice Renzi. «Io insisto. Non mollo. Cominciamo con il cambiare lo Statuto dei lavoratori. L'articolo 18 o c'è per tutti o non c'è per nessuno. Va tenuto solo per i casi di discriminazione», afferma il premier, secondo cui congelare per i primi 3 o 4 anni il diritto al reintegro «sarebbe un errore: significherebbe essere un Paese in cui il futuro dell'economia e dell'industria dipende dalle valutazioni dei giudici». «In un partito normale si discute, si vota e poi si prende una decisione e la si rispetta», afferma Renzi. «Non voglio prove di forza muscolari, anche se abbiamo la certezza di avere la maggioranza». Se i forzisti fossero determinanti sul voto finale del provvedimento, «si aprirebbe un grave problema politico. Ma io credo che non accadrà». La riforma del lavoro non è un baratto con la flessibilità in Ue, sottolinea il premier. «Chi ha fatto le riforme ha sempre usato la flessibilità. Noi faremo le riforme mantenendoci dentro il 3%». Sul possibile disaccordo della Germania, «Merkel guida il governo tedesco, non quello italiano». «Con Marchionne ho avuto opinioni diverse e in più circostanze. Ma preferisco la Fiat di oggi rispetto a quella di 30 anni fa che al primo problema aveva sussidi, incentivi e cassa integrazione», osserva Renzi. Quanto a Diego Della Valle, «ho capito che vuole costruire un partito. Io devo cambiare il Paese. Se ci dà una mano con i suoi consigli, lo ascolto volentieri. Se vuole misurarsi in prima persona, auguri». Sulla Cei, «ricevo telefonate di amici vescovi che mi dicono che le parole sono personali del segretario generale della Cei. Del resto io, cattolico, rispondo ai cittadini, non ai vescovi», dice Renzi. In merito al sindaco di Napoli, «le leggi si possono cambiare, io trovo quella norma eccessiva. Ma finchè le leggi ci sono, vanno applicate. De Magistris ha il dovere di rispettare le leggi».  

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