PALERMO. Hanno resistito quasi un anno ma a giorni, a meno di colpi di scena, i deputati dell’Ars «accetteranno» di adeguarsi al resto d’Italia riducendosi lo stipendio da 11.780 euro netti a 11.100 lordi (circa 8.300 netti). Ciò a cui non rinunceranno, i 90 di Sala d’Ercole, è il fiume di finanziamenti che transita dai gruppi parlamentari e che resterà più ricco di quanto non avvenga da Reggio in su.
Eccolo l’accordo maturato fra i principali partiti al termine di una riunione promossa dal presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, per ridimensionare quelle che ancora sono le buste paga più pesanti del Paese. Un accordo che si muove sull’asse ex Pdl-Pd e che porterà a mettere da parte la prima proposta varata in commissione e ispirata da Riccardo Savona: prevedeva che la Sicilia fosse l’unica regione a non recepire il decreto Monti, che in tutta Italia ha fissato un tetto agli stipendi che vale 11.100 euro lordi. Savona ha invece proposto un generico taglio del 20%: ma ciò, pur avvicinando i valori previsti altrove, avrebbe lasciato l’Ars libera da vincoli nazionali avendo così maggiore facilità di innalzare autonomamente in futuro le buste paga. Di più, l’Ars avrebbe mantenuto un aggancio giuridico con il Senato incassando automaticamente ogni nuovo aumento varato per i parlamentari nazionali.
«Non finirà così - sintetizza Marco Falcone, ex Pdl pronto a entrare negli gruppo Forza Italia/Lista Musumeci - verranno recepiti i tetti imposti da Monti. E lo stesso avverrà per l’assunzione dei portaborse. L’unica differenza sarà una fase di transizione che durerà fino alla fine della legislatura per quanto riguarda i dipendenti stabilizzati. Su questo siamo ormai quasi tutti d’accordo. Il nuovo testo sarà votato dall’Ars entro fine anno».
Ma come si traduce tutto ciò in termini economici? Oltre allo stipendio dei politici, il decreto Monti regola tutti i contributi concessi per i finanziare i partiti. E che normalmente vengono utilizzati per portaborse e segreterie politiche. Monti ha previsto di dare un contributo per il portaborse adeguandolo al parametro di pagamento del livello D6 dei dipendenti pubblici: significa mediamente fra i 50 mila e i 60 mila euro lordi annui. Con questi soldi ogni deputato pagherà solo 1 portaborse e, anche se ci fosse un surplus, non potrebbe dirottare nulla verso le spese della sua segreteria.
L’eccezione sta però nel numero dei portaborse, o dei dipendenti a questi assimilabili, in servizio in Sicilia. Sono molti di più di quanti non prevedesse Monti al momento di varare la sua legge sui costi della politica. Non conosceva, l’ex premier, la figura (unica in Italia) degli stabilizzati: si tratta di 85 dipendenti che sono in servizio nei gruppi all’Ars e oggi vengono pagati grazie a 4 milioni e mezzo interamente garantiti ai partiti dalle casse centrali del Parlamento. Sono quindi fondi extra rispetto ai normali finanziamenti. E sono propri questi fondi che in base all’accordo politico raggiunto dovrebbero essere salvati. Spiega Baldo Gucciardi, capogruppo del Pd: «Il decreto Monti dice che tutti i tagli si applicano ”fatti salvi i contratti in essere”. Dunque poiché questi contratti vengono rinnovati di legislatura in legislatura, è possibile una fase transitoria che arriva fino al 2017, quando si tornerà a votare per formare un nuovo Parlamento». Fra questi dipendenti stabilizzati, tutti assunti per chiamata diretta, ci sono dipendenti che curano servizi cruciali ma anche ex politici come Pippo Fallica e David Costa.
Dunque, ricapitolando: i deputati incasserebbero per se stessi 11.100 euro come tutti i colleghi d’Italia e al massimo altri 60 mila euro annui circa per il proprio portaborse. In più, collegata ai deputati, ci sarebbe la spesa per gli stabilizzati che vale altri 4,5 milioni e che altrove non c’è.
Infine, applicando il decreto Monti i gruppi avranno diritto a una torta di circa 700 mila euro annui che vanno divisi a seconda del numero di deputati che fanno parte della formazione politica e servono appunto per la materiale gestione delle attività. Il tutto malgrado gran parte delle spese tecniche saranno dirottate, come prevede anche Monti, ancora una volta sull’amministrazione centrale del Parlamento regionale.
Ardizzone, che da un anno spinge per l’applicazione secca del decreto Monti, sarebbe d’accordo con questa mediazione fra chi vuole una spending review con qualche eccezione e chi (per lo più dall’esterno) chiede tagli come in tutta Italia. Una manovra su cui incombe il voto dell’Ars che, per regolamento, inizierà dal testo più favorevole ai deputati, quello di Savona: un colpo di scena è sempre dietro l’angolo.
Deputati Ars, sì ai tagli: si salvano i portaborse
Patto fra i principali partiti per applicare i tetti agli stipendi voluti da Monti. Ma non si rinuncia a oltre 4 milioni per i dipendenti dei gruppi assunti per chiamata diretta
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