Mercoledì 27 Novembre 2024

Lombardo si è dimesso

PALERMO. Al premier Monti durante l'incontro a Palazzo Chigi, Raffaele Lombardo aveva garantito che si sarebbe dimesso il 31 luglio. Così è stato. Sebbene fino all'ultimo qualcuno abbia cercato di fargli cambiare idea, Lombardo s'e dimesso da governatore della Sicilia, non prima però di nominare due nuovi assessori. Sciolta l'Assemblea regionale (i 90 deputati, compreso Lombardo, rimarranno in carica fino all'insediamento del nuovo parlamento) si guarda al voto del 28 e 29 ottobre, data che sarà formalizzata dalla giunta nelle prossime ore. Il fondatore del Movimento per l'autonomia s'è dimesso (rimane in carica per l'ordinaria amministrazione) davanti all'Assemblea, con un discorso durato quasi mezz'ora, alla fine applaudito anche dai banchi dell'opposizione, Udc e Pdl compresi. Due i motivi che lo hanno spinto a compiere questa scelta: uno giudiziario, per via dell'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, e l'altro politico. «In un momento di crisi», ha detto, «è necessario che il
presidente della Regione possa esercitare appieno le sue prerogative, che non sia indebolito nel suo ruolo; per me purtroppo non è cos썻 perchè «dal 29 marzo 2010 a causa della mia vicenda giudiziaria, giocata abilmente sul piano mediatico con una ben orchestrata fuga di notizie, mentre nei fatti al governatore non è stato consentito dopo due anni e quattro mesi di essere interrogato». Ha ricordato che «per ben tre volte la pubblica accusa ha chiesto l'archiviazione» e «non è stato nemmeno chiesto un rinvio a giudizio». Adesso «da cittadino semplice, libero dalla mia carica, avrò il diritto e il dovere di far conoscere ai cittadini la verità sull'indagine». Poi ci sono le ragioni politiche. «Le elezioni anticipate» è convinto Lombardo, «consentiranno alla Sicilia di essere sottratta a trattative nazionali, così come è accaduto in questi sessant'anni: autonomia e partiti nazionali sono ontologicamente incompatibili». Dopo di lui, auspica, «una nuova fase di governo fatta da uomini liberi che sappiano eliminare la piaga dell'ascarismo e del trasformismo, che sappiano valorizzare l'autonomia e realizzarla, superando il concetto della pubblica amministrazione come ammortizzatore sociale e permettendo alla Sicilia di dialogare con lo Stato da pari a pari». Un concetto ribadito pochi minuti alla stampa convocata a Palazzo d'Orleans, con lombardo affiancato dai nuovi assessori e dal suo vice, l'ex pm Massimo Russo che guiderà la fase di transizione fino alle elezioni. «Se continuano a dirci che siamo brutti, sporchi e cattivi, che abbiamo i conti in disordine, che spendiamo male, che siamo un peso, che ci stiamo a fare insieme? Tanto vale che ci si separi consensualmente». Non parla di secessione, ma poco ci manca e guarda all'isola di Malta come modello. In aula aveva bollato come «tatticismopolitico-mediatico» l'allarme default, definendo «criminale e disonesto» perchè «ha infangato la Sicilia a livello internazionale». «Abbiamo fatto i conti in questi quattro anni con i vincoli imposti dal governo nazionale - ha affermato -. Il debito dell'Italia è cresciuto fino a duemila miliardi di euro, il 120% del Pil; mentre la Sicilia lo ha in rapporto al 7% del proprio Pil». Per l'ex governatore è in atto «un'aggressione alla nostra autonomia regionale, non si parla più di federalismo, si va affermando un nuovo centralismo attraverso il quale è facile operare una revisione della spesa, tagli imposti da organismi sovranazionali». A chi considera l'isola «una palla al piede» Lombardo risponde rilanciando l'autonomia come valore irrinunciabile. E forte dei poteri di protezione civile avverte che si occuperà anche «delle tante emergenze rimaste in sospeso»; dai collegamenti con le isole minori al trasporto pubblico locale dalla proroga dei contratti di 6 mila precari ai fondi per i dissalatori. Norme di spesa rimaste fuori dalla manovra di assestamento del bilancio, approvata dall'Assemblea prima delle dimissioni di Lombardo. Mancano 43 milioni di euro, mentre in cassa ce ne sono 13. E promette anche di mettere mano alla spending review, norma impantanata in commissione bilancio per veti politici. «La proporremo per via amministrativa», ha garantito.

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