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Donald e Volodymyr, c'eravamo tanto odiati

epa11930782 Ukrainian President Volodymyr Zelensky (L) talks with US President Donald Trump (C) and US Vice President JD Vance (R) in the Oval Office of the White House in Washington, DC, USA, 28 February 2025. Zelensky is in Washington to sign the framework of a deal, pushed by President Trump, to share Ukraines’s mineral wealth with the US. EPA/JIM LO SCALZO / POOL

Il sorprendente scontro che si è consumato nello Studio Ovale tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky in diretta televisiva è la punta dell’iceberg di un rapporto turbolento tra i due leader, che affonda le sue radici ai tempi del primo mandato presidenziale del tycoon. Una cronologia di recriminazioni e insulti, di cui Trump si è reso protagonista ai danni dell’ucraino, mentre nel  frattempo costruiva una relazione di stima tra uomini forti con il nemico numero uno di Kiev: Vladimir Putin.

Le prime parole di Trump su Zelensky, per la verità, sono buone. Il giorno della sua elezione alla presidenza dell’Ucraina, il 21 aprile 2019, l’inquilino della Casa Bianca lo chiama e si congratula, affermando che farà «un ottimo lavoro». Pochi mesi dopo, però, iniziano ad aprirsi le prime crepe. Il caso scoppia in piena campagna elettorale americana per il secondo mandato del tycoon, quando i suoi alleati iniziano ad alimentare le accuse su Joe Biden e le sue presunte pressioni su Kiev per insabbiare un’indagine sui legami della società energetica Burisma e il figlio Hunter. In  quei giorni va quindi in scena la prima telefonata di fuoco: Trump chiede a Zelensky di «andare a fondo» con l’inchiesta, ma l’ucraino temporeggia. Il tycoon, pur continuando ad agitare sullo sfidante Joe Biden le ombre su Hunter, perderà le elezioni nel 2020.

Da quel momento in poi, a parte una timida attestazione di solidarietà a Zelensky dopo l’inizio dell’invasione russa, Trump non perde occasione per delegittimare il leader ucraino. «È il più grande piazzista tra i politici della storia, ogni volta che viene qui se ne va con 60 miliardi di dollari», il suo commento al vetriolo a giugno del 2024, dopo avere spinto il partito repubblicano a bloccare l’ultima tranche di aiuti a Kiev promessa da Biden. Con il ritorno alla Casa Bianca, Trump alimenta la narrazione che il principale responsabile di questa lunga guerra sia proprio Zelensky, e non Putin. Il tycoon lo dice chiaramente, affermando che Kiev avrebbe potuto fare un accordo con Mosca sui territori contesi del Donbass per evitare il conflitto. Poi passa dalle parole ai fatti, riallaccia una comunicazione diretta con Putin per negoziare la pace alle spalle di Kiev e dell’Europa, e liquida il capo di Stato ucraino definendolo un «dittatore non eletto», perché ha sospeso le elezioni, e
sminuendolo ulteriormente con l’appellativo di «comico modesto», in riferimento al suo passato di attore. Salvo poi, alcuni giorni dopo, fare il finto tonto rispondendo ad una domanda di un giornalista su questi ultimi insulti: «L'ho davvero chiamato dittatore?». A farsi beffe, ancora una volta, del presidente in mimetica.

Quanto a Zelensky, il ritorno di Trump alla Casa Bianca viene naturalmente vissuto come uno shock, perché subito a Kiev si realizza che il rubinetto degli aiuti militari americani si chiuderà. E dopo anni di calorosi abbracci e parole al miele nei confronti di Biden, il presidente ucraino adotta un atteggiamento di cauta attesa per le mosse della nuova amministrazione Usa. Ma le pressioni nel frattempo crescono, perché la ritrovata liaison Trump-Putin viene letta come il preludio di una resa su tutta linea dell’Ucraina, e così anche Zelensky perde il controllo. Accusando il presidente sa di vivere «in una bolla di disinformazione russa». Tutto questo, fino al drammatico ultimo atto che si è consumato nello studio ovale. Zelensky, dopo essere arrivato a Washington per firmare un accordo sulle terre rare, con la speranza di ottenere in cambio garanzie di sicurezza, dopo le parole di Jd Vance che rivendica la linea della «diplomazia» perde ancora una volta la calma: «Di che diplomazia parli Jd?», Putin ha già violato tutti gli accordi degli ultimi anni anni, è la replica irritata al vicepresidente Usa. Un assist perfetto per Trump, che si intromette lanciando la sua lunga filippica contro il malcapitato ospite. Mai amato, ma nemmeno così tanto odiato.

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