Mangione incriminato a NY, la polizia teme il martire: l’ex studente modello si credeva un eroe ma rischia l’ergastolo
Luigi Mangione, il ragazzo di buona famiglia che la polizia di New York accusa di aver ucciso il ceo di UnitedHealthcare Brian Thompson, pensava a se stesso come un eroe e alla sua vittima come un simbolo delle ingiustizie delle mutue private: questo il senso delle tre pagine manoscritte del «manifesto» che il ragazzo aveva con sé al momento dell’arresto in un McDonald’s di Altoona, in Pennsylvania, assieme alla pistola del delitto stampata in 3D.
Da studente modello a killer
Da studente modello ad assassino: la polizia ora teme che la rete faccia di Mangione «un martire di cui seguire l’esempio». Formalmente accusato di omicidio, falsificazione di documenti e altri tre crimini legati al possesso di un’arma, per il 26enne di Baltimora è scattata oggi la pratica per l’estradizione: se riconosciuto colpevole, rischia da 15 anni fino all’ergastolo.
La famiglia sotto shock
Laureato in informatica a UPenn, un’ateneo Ivy League, appassionato di videogame (amava Among Us, un gioco i cui partecipanti giocano agli assassini in fuga), Luigi aveva visto nell’omicidio di Thompson una sfida diretta alla «corruzione“ dell’industria della salute con cui aveva avuto a che fare per un intervento alla schiena (la lastra dopo la correzione chirurgica con quattro grossi chiodi infissi nella colonna vertebrale era postata visibilmente sul suo profilo X prima che ieri venisse chiuso). L’operazione non era stata risolutiva e lo aveva lasciato incapace di fare sport e di avere rapporti normali con le ragazze. Da allora le relazioni con la famiglia, che oggi si è detta «devastata e sotto shock», si erano inspiegabilmente interrotte. Il 18 novembre, due settimane prima del delitto, la madre Kathleen ne aveva denunciato la scomparsa alla polizia di San Francisco, una delle tappe recenti dell’accusato.
Il bis nonno partito da Enna
Italo-americano di quarta generazione, Luigi veniva da un clan di origine siciliana. Un Nicola Mangione, emigrato da Castrogiovanni (la moderna Enna) era arrivato con vari parenti a Ellis Island nel 1920 per raggiungere a Baltimora il fratello Luigi, già insediato con la mamma e la moglie. Nicholas, il nonno del sospetto assassino, aveva fatto fortuna nelle costruzioni, la moglie Mary era attiva nel settore delle arti. Nino, uno dei 30 cugini di Luigi, è un deputato statale del Maryland, repubblicano e conservatore in linea col resto della famiglia che possiede una radio privata su cui girano talk show di destra (Sean Hannity o Mark Levin ad esempio). Anche Luigi, nelle tracce lasciate sul web, era a suo modo un tradizionalista: nostalgico di rituali di corteggiamento vecchio stampo e la ricerca di un modo di vivere più autentico lontano dai social. Intrigato dall’intelligenza artificiale ma a disagio con le possibili implicazioni, il ragazzo si ispirava non solo a Unabomber (il matematico di Harvard Theodore Kaczynzki che negli anni ‘90 terrorizzò l’America con pacchi bomba letali), ma anche a intellettuali come Jonathan Haidt e Freya India, esponenti del progetto Anxious Generation sulle sfide psicologiche e sociali affrontate dalla Gen Z. Due anni fa si era trasferito dalla California a Honululu dove per circa sei mesi ha abitato in una colonia di «nomadi digitali». Sperava «che le isole gli avrebbero fatto bene», ha detto l’amico RJ Martin.
Il profilo: sportivo e appassionato di letture
Amante delle letture (su Goodreads ne elenca 300 già letti o che vorrebbe leggere), alle Hawaii Mangione aveva guidato un book club, fatto yoga e trekking ma non surf per via della schiena. «A volte parlavamo di capitalismo e sanità - ha raccontato ancora Martin - ma non mi sembrava che ce l’avesse particolarmente con nessuno».
L'avvocato: non ho visto prove che sia lui killer
«Non ho visto prove che sia lui il killer». Lo ha detto intanto in una conferenza stampa Thomas Dickey, l’avvocato di Luigi Mangione. «Gli ho detto che si dichiari non colpevole», ha aggiunto.