«Abbiamo fatto la storia stasera superando ostacoli che nessuno pensava possibili. L’America ci ha dato un mandato potente e senza precedenti, manterrò le promesse sistemando tutto e fermando le guerre». Circondato dalla royal family al completo sul palco dell’affollatissimo e festante Convention Center di Palm Beach, con Melania e la rediviva Ivanka, Donald Trump ha improvvisato così il discorso della vittoria dopo che la Fox l’aveva appena incoronato 47esimo presidente americano con la conquista di tutti gli Stati in bilico: preludio di un trionfo a valanga che alla fine comprenderà anche il Senato e probabilmente la Camera, nonché il voto popolare come non accadeva dal 2004 con George W. Bush, smentendo ancora una volta tutti i sondaggi fermi sino alla vigilia su una corsa testa a testa. «Il più grande comeback della storia americana», ha esultato dopo di lui il 40enne Jd Vance, diventato il terzo vicepresidente più giovane della storia Usa. Un commento usato da molti dei leader mondiali che si sono precipitati a congratularsi con il tycoon: dagli entusiasti Benyamin Netanyahu e Viktor Orban, ai più preoccupati dirigenti di altri Paesi europei, che temono ora la scure dei dazi, l’indebolimento della Nato e l’abbandono dell’Ucraina nelle braccia di Vladimir Putin, l’unico per ora a non felicitarsi con un Paese «ostile» coinvolto nel conflitto. In effetti quella di Trump è stata una vera e propria impresa storica che ha umiliato tutti i suoi nemici, perché è riuscito a tornare alla Casa Bianca a 78 anni (quando giurerà, il prossimo 20 gennaio, sarà il presidente più vecchio ad insediarsi) sfidando ogni regola del politicamente corretto, sopravvivendo a due impeachment, vari processi (ancora pendenti), due condanne penali e vari scandali. Dopo l’assalto al Capitol del 6 gennaio 2021 sembrava un cadavere politico, abbandonato anche dal suo partito, che invece è riuscito a riconquistare e plasmare a sua immagine e somiglianza. Fondendolo quasi col suo movimento Maga e imbarcando nella sua avventura l’uomo più ricco del pianeta (Elon Musk) e un Kennedy, anche se reietto. Una rivincita incredibile, che lo rende il primo presidente a ricoprire due mandati non consecutivi dopo il dem Stephen Grover Cleveland (ma eravamo a fine ‘800). Una resurrezione grazie ad un miracolo. Sì perché, è la convinzione di Trump, il mandato che ha ricevuto non arriva solo dal popolo: «Molte persone mi hanno detto che Dio mi ha risparmiato la vita per un motivo. Quel motivo era salvare il nostro Paese», ha ribadito nel suo discorso a Palm Beach, rievocando l’attentato cui è sopravvissuto e promettendo all’America «una nuova età dell’oro». Il tycoon ha così infranto nuovamente il sogno di una donna di rompere il soffitto di cristallo, questa volta quello di Kamala Harris, che ha preferito non presentarsi nella notte alla sua Howard University rimandando al giorno dopo il discorso di accettazione della sconfitta e la telefonata di congratulazioni all’avversario. La candidata dem ha pagato razzismo e misoginia, la scarsa mobilitazione delle donne, ma anche la debolezza della sua campagna e le «grosse responsabilità» di un Joe Biden ostinato a rimanere in corsa nonostante l’età. Trump ha vinto cavalcando su economia e immigrazione le paure di un’America bianca smarrita, aumentando il consenso anche tra neri e latinos. E addirittura raddoppiando i consensi in roccaforti dem come New York City o sbancando simbolicamente Springfield, la città dell’Ohio dove aveva accusato gli haitiani di mangiare cani e gatti dei residenti. The Donald si prepara così ad entrare alla Casa Bianca con poteri quasi illimitati se avrà il controllo dell’intero Congresso, dato che la Corte suprema ha già una maggioranza conservatrice. Ed è stato lui stesso a dire già come intende muoversi, magari facendo il dittatore, «anche se solo il primo giorno»: usare il dipartimento di giustizia contro i «nemici interni», impiegare l’esercito contro le rivolte, licenziare migliaia di dipendenti pubblici di carriera se «sleali», lanciare la più grande deportazione di massa della storia con una caccia al clandestino in tutto il Paese, sigillare i confini col Messico e mettere fine alle città santuario. Oltre a una massiccia deregulation abbandonando la lotta al cambiamento climatico e favorendo un altro taglio delle tasse assieme a una crociata anti woke e anti transgender nelle scuole, nello sport, nelle forze armate. «L’America si affida a un uomo forte», è il titolo di una analisi del New York Times, secondo cui «questa è stata una conquista della nazione non con la forza ma con un permesso firmato. Ora l’America è sul precipizio di uno stile autoritario di governo mai visto prima nella sua storia di 248 anni», scrive l’autorevole quotidiano liberal. «A differenza del 2016, quando ha segnato una vittoria elettorale a sorpresa ma ha perso il voto popolare, Trump andrà a Washington in grado di rivendicare un ampio mandato». Del popolo. E di Dio.