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Harris: «Accetto la vittoria di Trump, ma non la fine della lotta». Sfuma il sogno di una donna presidente

«Accetto la sconfitta ma la lotta per la libertà e per l’America non finisce qui». La guerriera gioiosa ha perso la battaglia più importante della sua vita, distrutto i sogni suoi e di milioni di americani e provocato un bagno di sangue democratico attraverso tutta l’America, ma non ha perso una grinta.

Dopo una notte in silenzio, Kamala Harris ha chiamato il suo rivale Donald Trump per congratularsi, concedergli la vittoria e discutere di una «transizione pacifica» del potere (a parti invertite, per usare un eufemismo, non sarebbe stato così scontato).

E poi è andata tra la sua gente alla Howard University che l’attendeva da ore e l’accolta con amore. «So che avete sentimenti contrastanti. Ma dobbiamo accettare il risultato del voto», ha detto la vice presidente sottolineando che questo fa la differenza tra «democrazia e tirannide», con una neanche troppo velata frecciata all’atteggiamento del presidente eletto Trump quattro anni fa.

«Sono fiera della nostra campagna e di come l’abbiamo condotta, uniti dall’amore per il Paese, dall’entusiasmo e la gioia per il futuro dell’America», ha dichiarato ancora la democratica. Eppure qualcosa chiaramente non ha funzionato se, per la seconda volta, i democratici non sono riusciti sfondare il soffitto di cristallo, nonostante l’impegno della candidata e del suo staff, la parata di celebrities e rockstar salite sui palchi della campagna e le donazioni milionarie.

Intanto il fattore Joe Biden, l’anziano commander-in-chief che si è ostinato a ricandidarsi salvo poi ritirarsi a quattro mesi dalle elezioni dopo un dibattito disastroso, quando ormai la gara era forse già irrecuperabile. Tracotante lui e poco incisivi i big del partito che non lo ha silurato un anno fa, a partire da Barack e Michelle Obama fino a Nancy Pelosi. Alla vicepresidente non è restato che assumersi questa responsabilità e condurre la campagna più breve della storia. Certo l’errore più grande e, forse fatale, di Harris è stato quello di non prendere subito e in modo forte le distanza dal suo boss, se non timidamente nelle ultime settimane di campagna.

Per gli esperti, avrebbe dovuto mostrare un taglio netto con la precedente amministrazione soprattutto sull’economia e la guerra a Gaza, due temi che le sono costati milioni e milioni di voti e Stati in bilico come la Pennsylvania e il Michigan. Sul Medio Oriente Harris si è giocata sia il sostegno degli arabo-americani, che non le hanno perdonato l’appoggio quasi incondizionato ad Israele, sia degli ebrei conservatori che hanno imputato al governo democratico un crescente antisemitsmo negli Stati Uniti dopo gli attacchi del 7 ottobre.

Quanto all’economia, un analista ha sintetizzato che «gli americani votano con il portafoglio», per spiegare che la sconfitta della democratica è stata principalmente causata da una congiuntura peggiore rispetto ai quattro anni di governo Trump e al costante aumento dei prezzi, complici naturalmente gli effetti della pandemia di Covid e due guerre, in Ucraina e a Gaza. Harris non solo ha ereditato da Biden un Paese in condizioni difficili ma ha anche pagato la crescente impopolarità del presidente, che le si è appiccicata addosso come una lettera scarlatta.

Un altro fattore cruciale per la sconfitta della democratica è stata la battaglia dei sessi, gli uomini contro le donne. Harris, che con la scelta di Tim Walz sperava di attirare anche una parte di elettori più moderati, alla fine non è riuscita a convincere né i maschi bianchi, né i neri, né quelli latini. E questo è avvenuto soprattutto nelle grandi città come Filadelfia, Detroit e Milwaukee, dove nel 2020 Biden aveva conquistato il 90% del voto black. Ma anche le donne hanno tradito la candidata, almeno il 52% di quelle bianche. Nonostante la battaglia sui diritti riproduttivi, all’aborto hanno preferito alla vice presidente un uomo di 78 anni che ha contribuito a dare il via libera ai tanti divieti sull’interruzione di gravidanza nel Paese, è stato condannato per violenza sessuale ed ha alle spalle una serie di comportamenti molesti nei confronti delle donne.

Tra le ragioni della debacle, qualche osservatore ha fatto anche notare una mancanza di spontaneità da parte della democratica che, ad esempio, raramente in questi mesi di campagna ha raccontato la storia della sua famiglia: il padre giamaicano e la madre indiana che sono emigrati negli Stati Uniti e sono riusciti a realizzare il loro sogno americano. Una storia di riscatto e speranza realizzata, non solo una parola, che Harris avrebbe potuto cavalcare di più per convincere gli americani a scegliere il suo sogno di un’America diversa da quella di Trump.

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