Il vertice della Nato a Washington è iniziato nel migliore dei modi per l’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno infatti annunciato che i jet F16 promessi sono già partiti, dalla Danimarca e dai Paesi Bassi, ed entro l’estate saranno operativi sui cieli di Kiev per respingere gli attacchi della Russia. Una garanzia per Volodymyr Zelensky, presente nella capitale americana anche se non al vertice, assieme agli oltre 40 miliardi di euro in assistenza finanziaria e alla sicurezza che gli alleati dell’Alleanza atlantica sono pronti ad assicurargli.
Il padrone di casa Joe Biden, che conta sul vertice per i 75 anni della Nato anche per voltare pagina e convincere partner ed americani di essere pronto a guidare gli Stati Uniti per un secondo mandato, ha assicurato che Kiev «può e fermerà Vladimir Putin», mentre il segretario di Stato Antony Blinken ha sottolineato che l’invio dei jet è un segnale al leader del Cremlino. Zelensky prima ha espresso soddisfazione, poi parlando alla Reagan Foundation ha incalzato che di «F16 ne servono almeno 128 per eguagliare la Russia nei cieli».
Il segretario uscente dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, ha detto di essere convinto che da questa tre giorni nella capitale americana arriveranno «aiuti sostanziali» a Kiev, frutto di un piano elaborato da mesi per garantirle l’assistenza a lungo termine dell’Occidente, anche in caso di un eventuale cambio di leadership alla Casa Bianca. E anche il neo premier britannico, al suo debutto internazionale, ha assicurato a Zelensky il sostegno «incrollabile» del Regno Unito, come d’altra parte la premier italiana Giorgia Meloni, che ha promesso un secondo sistema difensivo Samp-T. Un fronte compatto quindi quello formato dai 32 leader riuniti a Washington, almeno per quanto riguarda l’assistenza militare.
Altra questione è l’adesione alla Nato, su cui alcuni Paesi hanno ancora delle riserve per il rischio che comporterebbe avere un partner quasi sempre in conflitto con una potenza nucleare come la Russia. Per ora Zelensky incassa l’accordo di massima sull’irreversibilità del processo, anche se non è ancora chiaro se nella dichiarazione finale sarà specificata una data o una scadenza.
Quello che, invece, sarà esplicitato secondo fonti diplomatiche che hanno parlato con i reporter sarà l’ennesimo monito alla Cina ad interrompere il suo sostegno a Mosca. Pechino, in quanto membro del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, «deve smettere qualsiasi forma si sostegno politico e materiale» al Cremlino, si legge nella bozza nella quale si sottolinea inoltre che il Dragone «costituisce un pericolo per l’Europa e la sicurezza».
Nella dichiarazione finale sono nominati anche gli altri nemici del patto, dalla Corea del Nord all’Iran. E viene designato un inviato del sud per il Medio Oriente e per l’Africa: una buona notizia per Roma, tanto che il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha lanciato la candidatura proprio dell’Italia per ricoprire questo ruolo, mettendo a disposizione «nomi di alto livello».
Alla fine di una giornata di lavori, tre cene: una offerta da Biden e la First Lady alla Casa Bianca, una da Blinken per i ministri degli Esteri e infine quella dei ministri della Difesa con il capo del Pentagono Lloyd Austin. La pressione è alta sul commander-in-chief, che vuole approfittare di tutte le occasioni a sua disposizione in questi tre giorni per dimostrare in patria e all’estero di non essere l’81enne fragile e confuso degli ultimi tempi.
Anche tra i leader stranieri presenti a Washington, infatti, dopo il disastroso dibattito televisivo è aumentato lo scetticismo sulle sue capacità di leadership e, soprattutto, sulla sua forza di battere Donald Trump - non certo un amico dell’Alleanza - mentre in casa Biden è stato mollato persino dalla storica alleata, e coetanea, Nancy Pelosi. Per non parlare del colpo sferrato dal democratico George Clooney, che lo ha invitato a farsi da parte dopo mesi di tensioni con la Casa Bianca per via dell’impegno della moglie con la Corte Penale internazionale.
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