La Francia è sotto shock: alla vittoria schiacciante, senza appello, del partito di estrema destra di Marine Le Pen alle elezioni europee, ha reagito dopo pochi minuti il presidente sconfitto e sconfessato, Emmanuel Macron. «Non posso fare come se niente fosse, ho deciso di ridare a voi la scelta sul vostro futuro parlamentare con il voto. Sciolgo questa sera l’Assemblée Nationale», ha annunciato.
Subito dopo una raggiante Marine Le Pen ha preso la parola: «Siamo pronti a governare». La Francia entra in una fase istituzionale finora sconosciuta e densa di incognite, tutto sembra possibile in un Paese che si trova impegnato con tutte le sue forze nella preparazione delle imminenti Olimpiadi. Macron, che ha chiesto invano una «tregua olimpica» ai protagonisti dei conflitti internazionali, si ritrova in trincea all’Eliseo, senza maggioranza e con la prospettiva di dover governare con Le Pen, schieramento da sempre suo più irriducibile avversario.
Lo scenario ha lasciato letteralmente senza parole i francesi: su diverse emittenti l’annuncio di Macron è stato seguito da lunghi secondi di silenzio, con le telecamere che inquadravano gli ospiti in studio ammutoliti. La prospettiva - che prenderà forma nei due turni elettorali, fissati al 30 giugno e al 7 luglio - è quella che se il larghissimo risultato favorevole all’estrema destra si confermerà, Macron sarà costretto alla coabitazione con un esponente del Rassemblement National a capo del governo, probabilmente Jordan Bardella, il ventottenne capolista che ha ottenuto il miglior risultato della storia del partito di Le Pen. Su una conclusione sono d’accordo tutti gli osservatori e gli analisti politici: quello che sta succedendo in Francia è inedito.
In una serata mozzafiato, l’Eliseo ha annunciato il discorso di Macron ai francesi in diretta tv pochi minuti dopo la diffusione dei risultati, che dava uno scarto di oltre 16 punti fra il partito lepenista e quello macroniano, che conta meno della metà dei voti dei vincitori (32% contro 14,5%). Atteso, annunciato, da molti temuto, da altri invocato, il terremoto politico è arrivato puntuale: Macron e il «macronismo» hanno subito la più cocente delle sconfitte nelle elezioni meno europee che abbia vissuto il Paese. Come voleva Marine Le Pen, la consultazione europea è stata esclusivamente un voto di «metà mandato» per battere e umiliare il presidente della Repubblica.
Davanti a sé, il presidente che ancora ieri percorreva maestosamente gli Champs-Elysées al fianco di Joe Biden, discutendo poi con lui di guerra in Ucraina e insistendo nel voler guidare una coalizione di intervento e appoggio a Kiev. Il risultato ha sconfessato pienamente il presidente e il governo in carica con una chiarezza senza precedenti.
Festeggiano non soltanto l’estrema destra, che ha inseguito questo risultato trasformando la campagna delle europee in un referendum pro o contro Macron. Ma anche l’estrema sinistra de La France Insoumise, che negli ultimi giorni ha intensificato la protesta filopalestinese e ora - superando il 9% - può rimproverare a Macron di aver «perso ogni legittimità», come ha gridato dal palco Manon Aubry, la capolista. Con il risultato più importante della sua storia, attorno al 32%, il Rassemblement National ha trovato anche il suo leader, il giovane Jordan Bardella, che a 28 anni e un milione di seguaci su TikTok, diventa anche il più votato in categorie come i pensionati e i dirigenti. Gli analisti si affannano a proclamare che «il soffitto di cristallo», l’insieme di norme e convinzioni dell’elettorato che impediva all’estrema destra di essere vincente in Francia, è stato infranto. Il cammino di sdoganamento è cominciato 20 anni fa con Marine Le Pen, che dopo aver estromesso il padre e fondatore del partito, Jean-Marie Le Pen, ha cominciato a portare deputati in Parlamento, a cambiare il volto dei leader del partito. Oggi, in vista del 2027, Marine Le Pen si pone come la più seria candidata alla successione di Macron, dopo aver già promesso la poltrona di premier a Bardella.
Con i macroniani umiliati e i lepenisti trionfanti, gli altri partiti festeggiano le loro performance: Raphael Glucksmann ha ottenuto un 14% con il suo Place Publique targato Ps, che di fatto rilancia i socialisti; la France Insoumise, che supera il 9% con Manon Aubry capolista che migliora il record del 2019 e che celebra la «sconfitta di un macronismo allo sbando»; i Républicains, che - lontani dai fasti del passato neogollista - non affondano e restano al 7,2%; Marion Marechal della destra di Zemmour, che supera il 5% ed entra nel Parlamento europeo come gli ecologisti, che temevano il peggio. Ma tutto è ora orientato verso il futuro prossimo, scadenze elettorali che decideranno i destini del Paese e che annunciano nuovi colpi di scena. Il primo è già arrivato: la maggioranza ha annunciato - attraverso il ministro degli Esteri, Stéphane Séjourné - che non presenterà propri candidati contro i Républicains uscenti nelle loro circoscrizioni. Un primo abbozzo di «front Républicain», l’antica alleanza contro l’estrema destra che ha funzionato per decenni in Francia ma che sembra difficile ricostruire in pochi giorni.
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