«Alexei è stato ucciso da Putin col Novichok», la vedova Navalny pronta a raccogliere l'eredità del marito
«Mio marito è stato ucciso da Putin». Punta il dito senza esitazioni contro il Cremlino la vedova di Alexei Navalny, suggerendo che la morte potrebbe essere stata indotta con l’uso del Novichok, l’agente nervino già comparso nel precedente avvelenamento dell’oppositore, nel 2020. E in un video diffuso sui social annuncia di essere pronta a raccogliere l’eredità politica del marito, proprio nel giorno in cui sbarca a Bruxelles per partecipare al Consiglio dei ministri degli Esteri della Ue. Alla madre di Navalny intanto, ha riferito l’ex portavoce del dissidente Kira Yarmysh, è stato annunciato che la salma non sarà restituita alla famiglia per altri 14 giorni, durante i quali devono essere eseguiti «esami chimici» imprecisati. Yarmysh ha aggiunto che alla stessa madre e all’avvocato dell’oppositore è stato impedito in mattinata per la seconda volta in tre giorni di entrare nell’obitorio dell’ospedale della città artica di Salekhard dove, secondo il sito russo dell’opposizione Mediazona, il corpo sarebbe stato portato già nella tarda serata del 16 febbraio, il giorno della morte nella colonia penale IK-3. Secondo Yulia Navalnaya, il cui video di otto minuti è diventato subito virale, questi rinvii confermano che le autorità «mentono meschinamente attendendo quando svaniranno le tracce dell’ennesimo Novichok di Putin». Un riferimento alla sostanza velenosa chiamata in causa in attacchi subiti in passato da Navalny e da altri oppositori, come quello in Gran Bretagna nel 2018 contro l’ex spia russa che aveva fatto defezione, Serghei Skripal, e da sua figlia. Ma poi Navalnaya ha fatto capire di non avere ancora certezze sul metodo usato: “Scopriremo certamente chi di preciso e in quale preciso modo ha eseguito il crimine, faremo i nomi e faremo vedere le facce», ha promesso. L’organizzazione per la tutela legale dei detenuti Ovd-Info ha lanciato una petizione online per chiedere la pronta consegna del corpo alla famiglia e ha detto di avere già raccolto oltre 60.000 adesioni. Ma all’invito a rispondere alla richiesta della famiglia, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha detto che il Cremlino non ha competenza in materia. «L’indagine è in corso e vengono intraprese tutte le azioni necessarie al riguardo», ha assicurato il portavoce, giudicando «rozze» le accuse rivolte a Putin dai Paesi occidentali. «Queste frasi, ovviamente, non possono causare alcun danno al nostro capo dello Stato, ma non danno assolutamente una buona immagine di coloro che fanno tali dichiarazioni», ha affermato ancora Peskov. Nel suo messaggio video, Yulia Navalnaya si è detta quindi pronta a raccogliere il testimone del marito. «Continuerò il suo lavoro, continuerò a lottare per il nostro Paese, e vi invito a stare accanto a me», ha detto, aggiungendo di voler costruire una Russia «come la immaginava Alexei Navalny, piena di dignità, giustizia e amore». Successivamente è stata accolta a Bruxelles dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, che ha ricordato il dissidente come un «guerriero» e ha condannato quella che ha definito «la brutalità del regime canaglia del Cremlino». «Yulia Navalnaya è una donna che vuole continuare a battersi per difendere la libertà nel suo Paese e ha ribadito che la Russia non è Putin e Putin non è la Russia», ha detto da parte sua il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il responsabile della Farnesina ha aggiunto che, a nome di tutti, l’alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell «le ha assicurato che continueremo a sostenere il diritto di espressione in Russia, di poter condurre battaglie politiche e chiederemo la liberazione di tutti i prigionieri politici».