Lunedì 23 Dicembre 2024

Ucciso il capo dell'arsenale di Hamas, eliminati 130 tunnel

Israele non molla la presa sui tunnel di Hamas e continua la caccia ai leader della fazione jihadista. Oggi è stata la volta di Mohsen Abu Zina, capo della produzione di armi di Hamas, un ruolo importante nella gerarchia militare dell’organizzazione. Era «un esperto nello sviluppo di armi strategiche e dei razzi utilizzati dai terroristi», ha fatto sapere il portavoce militare annunciandone la morte. In pratica l’arsenale militare che la fazione ha accumulato negli anni, compresi i missili anti tank usati contro le truppe israeliane. Dall’avvio delle operazioni sono stati oltre 130 gli imbocchi di tunnel distrutti dall’esercito dentro l’enclave palestinese. In molti di questi casi i soldati - ha spiegato il portavoce militare - hanno trovato accanto agli imbocchi strutture con batterie d’auto che si ritiene fossero collegate al sistema di filtraggio dell’aria. A fare la parte del leone in questa minuziosa ricognizione sono i reparti dei genieri combattenti incaricati di identificare gli ingressi di una rete sotterranea che si estende per circa 500 chilometri. A martellare i miliziani di Hamas, oltre ai raid aerei, ci sono anche i battaglioni di artiglieria che colpiscono dal bordo della Striscia, su indicazioni delle truppe sul campo. Uno di questi bombardamenti ha distrutto la moschea Khaled Ben al-Walid, uno dei simboli della città di Khan Yunes, a sud di Gaza. L’edificio si trovava in un campo profughi ma al momento dell’attacco era vuoto. Israele ha poi accusato ancora una volta Hamas di sfruttare «le ambulanze, gli ospedali, le cliniche, le moschee e le scuole a fini terroristici». Inoltre, secondo l’Idf, i miliziani «usano le ambulanze per trasferire armi e operativi dentro la Striscia», così come strutture civili e i civili stessi «come scudi umani». La pressione dell’esercito si intensifica sempre di più a Gaza City, dove le truppe sono arrivate a poca distanza dall’ospedale Shifa, anche se per ora l’ingresso dei soldati non c’è stato. Sotto e dentro quell’ospedale, ha più volte sostenuto Israele, si nasconde il comando centrale di Hamas, che lì avrebbe stipato quasi 500mila litri di carburante. A dare la misura della pressione dell’esercito basti citare le dimensioni dello schieramento: per la prima volta dalla guerra in Libano del 1982 un’intera divisione di riservisti sta operando nel nord di Gaza, dove controlla l’area di Beit Hanoun. Intanto la situazione della popolazione dell’enclave palestinese si fa ogni giorno più drammatica e l’Idf ha di nuovo aperto un corridoio umanitario lungo la strada Sallah a-Din, che taglia verticalmente la Striscia. Secondo l’esercito, oggi circa 50mila palestinesi sono passati da nord a sud e si prevede che l’iniziativa sarà ripetuta anche domani. Se il fronte di Gaza resta il principale, quello in Cisgiordania sta diventando incandescente e rischia di sfociare in un altro conflitto aperto. Lo stesso premier Benyamin Netanyahu ha visto i leader degli insediamenti ebraici nei Territori occupati, convocati d’urgenza. «Questo incontro - ha detto - rientra nella visita odierna del Gabinetto di guerra nel comando della regione militare centrale alla luce degli avvertimenti dei responsabili alla sicurezza per la grave escalation in atto nella Giudea-Samaria» (Cisgiordania, ndr)». Lo stesso capo degli affari umanitari delle Nazioni Unite Martin Griffiths ha denunciato che «la situazione sta diventando sempre più grave in Cisgiordania. Dal 7 ottobre 158 palestinesi sono stati uccisi, compresi 45 bambini». Nella Striscia ormai al collasso, dove Hamas sembra stia perdendo il controllo della parte nord, il numero dei morti (il ministero della Sanità locale non fa distinzione tra civili e miliziani) è arrivato a 10.569, di cui 4.324 minori e 2.823 donne.

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