Venerdì 22 Novembre 2024

L'Iran con Hamas: «L'Islam si unisca contro Israele»

In Iran supporter di Hezbollah

Alla vigilia di un venerdì di manifestazioni a favore dei palestinesi che Hamas vorrebbe infiammassero tutto il Medio Oriente e oltre, l’Iran lancia l’appello all’unità dei Paesi arabi e musulmani contro Israele, raccolto subito dal padrone di Damasco Bashar al Assad che ha evocato «un’azione rapida» del mondo islamico per fermare i raid sulla Striscia di Gaza. Un venerdì di allerta alta anche in tutta Europa. La Francia si è spinta fino a vietare ogni tipo di manifestazioni pro Palestina mentre negli altri Paesi, Italia in testa, polizia e intelligence monitorano da vicino soggetti ritenuti di interesse. Preoccupazione anche negli Stati Uniti, dove sono previste diverse manifestazioni. A New York tutti gli agenti si presenteranno in servizio in uniforme, pronti per essere schierati in caso di necessità. L’appello al venerdì di protesta è stato lanciato da Hamas a Gaza alcuni giorni fa: «Invitiamo i popoli arabi e musulmani e i palestinesi da ogni luogo a marciare verso i confini della Palestina occupata in solidarietà con la Palestina, Gerusalemme e la Moschea di Al-Aqsa». Un proclama minaccioso che certo non evoca cortei pacifici, ma una sorta di chiamata alle armi, addirittura una marcia verso i confini palestinesi. Poche ore dopo, da Doha, è sceso in campo anche Khaled Meshaal, l’ex capo politico di Hamas detronizzato nel 2017 da Ismail Haniyeh, anche lui in Qatar. E’ necessario «andare nelle piazze del mondo arabo e islamico venerdì», i popoli di Giordania, Siria, Libano ed Egitto hanno il dovere più grande di sostenere i palestinesi. Ma non si è fermato qui. In un sinistro richiamo agli studiosi «che insegnano il jihad, per tutti coloro che insegnano e imparano, questo è il momento per l’applicazione delle teorie». Battezzando infine le manifestazioni «The Friday of the Al-Aqsa Flood»- ed evocando così lo stesso nome dell’operazione di Hamas pianificata da Mohammed Deif - Meshaal ha esortato a trasformare venerdì in un «giorno di sacrificio ed eroismo». Immediate le reazioni in Giordania, dove in migliaia mercoledì hanno manifestato contro Israele. Il partito del Fronte islamico, braccio politico dei Fratelli musulmani, ha promesso una manifestazione «da un milione di persone» e indetto per il prossimo 20 ottobre una vera e propria «marcia fino ai confini della Palestina». In questa vigilia carica di tensione, Teheran continua a gettare benzina sul fuoco: «Tutti i Paesi islamici e arabi devono trovare un accordo per fermare i crimini del regime sionista contro la nazione palestinese oppressa», ha tuonato il presidente Ebrahim Raisi. Una dichiarazione emersa nel corso di una telefonata con un altro nemico storico di Israele, il siriano Assad. Secondo lui, sopravvissuto alla rivolta interna anche grazie a Iran, Russia e un fiume di sangue, serve «un’azione rapida a livello arabo e islamico per proteggere i palestinesi. Nessun nuovo ordine a livello regionale può essere stabilito senza considerare i loro diritti». Nel giro di conversazioni di Raisi non è mancata Riad. «Nella prima telefonata del presidente con Mohammed bin Salman - recita la nota ufficiale di Teheran - i due si sono mostrati d’accordo sulla necessità di porre fine ai crimini di guerra contro la Palestina. È stata sottolineata l’unità islamica». La nota saudita è meno battagliera: bin Salman ha sottolineato che il regno «condanna gli attacchi ai civili e l’uccisione di innocenti», e ribadito il «fermo sostegno alla causa palestinese e agli sforzi per arrivare a una pace giusta che garantisca i diritti legittimi dei palestinesi». Mentre Erdogan, pompiere o incendiario a giorni alterni, oggi ha denunciato il «massacro“ in corso a Gaza per il quale «non ci può essere spiegazione». Ora i fari sono puntati sulle piazze arabe e sul venerdì della rabbia.

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