Terrore per gli ostaggi, Hamas ad Israele: «Li uccideremo in pubblico». Presi anche due italiani
A nemmeno 72 ore dall’attacco senza precedenti di Hamas contro Israele, arriva il macabro annuncio di rappresaglia sui prigionieri dei miliziani: «Cominceremo a giustiziare pubblicamente un civile israeliano in ostaggio per ogni bombardamento israeliano su abitazioni civili a Gaza senza preavviso», è la minaccia dei terroristi palestinesi. Un annuncio che giunge dopo che entrambi i fronti hanno chiuso le porte a una trattativa: «Non è possibile alcun negoziato, sulla questione dei prigionieri o altro», ha avvertito Hossam Badrane, membro dell’ufficio politico di Hamas a Doha. «Dobbiamo entrare a Gaza, non possiamo trattare ora», avrebbe invece detto il premier israeliano Benyamin Netanyahu al presidente Usa Biden che gli chiedeva degli ostaggi. Tra i rapiti ci sarebbero anche due italo-israeliani, marito e moglie che si trovavano nel kibbutz di Beeri, dove oggi sono stati trovati 108 cadaveri. «Non rispondono alle chiamate della famiglia. Probabilmente sono stati presi in ostaggio, oppure risultano dispersi, non abbiamo ancora la certezza», ha detto in serata il ministro degli Esteri Antonio Tajani riferendosi a Eviatar Moshe Kipnis e Liliach Lea Havron, questi i nomi della coppia con doppio passaporto. Mentre si rincorrono le indiscrezioni sul possibile ruolo dei Paesi arabi per riportare a casa le decine di uomini, donne e bambini caduti nelle mani dei jihadisti, crescono gli appelli disperati sui social e gli allarmi delle cancellerie di tutto il mondo. Perché gli ostaggi sono israeliani ma anche tedeschi, britannici, statunitensi, francesi, sudamericani e asiatici. Cittadini con doppio passaporto di tanti Paesi. Alcuni riconosciuti e identificati dagli scioccanti video dei rapimenti, virali sui social, altri ufficialmente indicati come dispersi oppure morti. Di loro infatti non se può ancora conoscere il destino con certezza. E le bombe non distinguono se sei vittima o sequestratore: «Quattro prigionieri israeliani sono stati uccisi dai raid su Gaza», ha sostenuto così Abu Obeida, portavoce delle Brigate Izzedin al Qassam, ala armata di Hamas. Ed è difficile naturalmente distinguere tra realtà e propaganda. Gli ostaggi comunque sarebbero almeno 130: cento nella mani di Hamas, trenta tenuti prigionieri dalla jihad islamica, la loro vita appesa a un filo. Numeri divulgati dai miliziani, mentre dalle autorità ebraiche non sono state riportate cifre ufficiali. L’esercito israeliano ha «le coordinate di tutti gli ostaggi a Gaza», ha assicurato in serata il portavoce militare. «La guerra è cominciata male per noi, ma finirà molto male per l’altra parte», ha avvertito. Israele vuole risolvere la faccenda quindi, ma non attraverso il negoziato tra i due fronti, almeno secondo le voci ufficiali. Intanto, crescono le indiscrezioni su mediazioni arabe per strappare un accordo che porti alla liberazione dei prigionieri: una fonte del Movimento di resistenza islamica ha riferito all’agenzia cinese Xinhua che il Qatar starebbe mediando uno scambio urgente con il sostegno degli Stati Uniti: donne israeliane catturate dai miliziani in cambio di donne palestinesi detenute nelle carceri ebraiche. Secondo la fonte, Hamas avrebbe informato il Qatar che sarebbe disponibile all’operazione se tutte le 36 donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane fossero rilasciate. La mediazione è stata avvalorata anche da un alto funzionario americano e un’altra persona che ha familiarità con la questione alla Cnn. Ma da Israele non è arrivata alcuna conferma dopo che già ieri aveva smentito un possibile ruolo egiziano per liberare i rapiti. Dichiarazioni a parte, l’unica certezza per il momento è che il nodo sui prigionieri resta, mentre cresce la paura delle esecuzioni pubbliche per vendetta. Una paura che alimenta le grida di dolore di parenti e amici degli ostaggi, molti dei quali giovanissimi. Qualcuno implora il governo israeliano e la comunità internazionale di guardare oltre la politica. Come Malki Shmetov, il figlio disperso dopo gli attacchi di sabato: «È una questione di umanità. I nostri bambini sono lì... per favore, aiutateli».