È iniziata la stima dei danni causati dall’alluvione devastante di domenica 10 settembre a Derna, in Libia, dove «proseguono» le ricerche di eventuali dispersi nonostante i volontari sul campo facciano fatica oramai a distinguere un cadavere da un altro e lamentano di non avere mezzi sufficienti per continuare a scavare nel fango o a recuperare i corpi finiti in mare.
Il caos è imperante, tanto che anche sul bilancio dei morti è scoppiata la bagarre tra la Mezzaluna libica, che giorni fa aveva annunciato una stima di oltre 11 mila morti, ieri confermata dall’Onu e smentita a stretto giro dalla stessa Mezzaluna. «Siamo scioccati, non abbiamo nulla a che fare con questi numeri», ha detto il responsabile, Tawfik Shoukri.
Le vittime accertate finora, stimano le autorità, sono 3.252, ha annunciato Othman Abdeljalil, ministro della Salute del governo dell’est legato a doppio filo con il potente generalissimo Khalifa Haftar. Un altro funzionario della Libia orientale, Osama Al-Fakhry, sottolineando che sono ancora in corso le operazioni di ricerca di eventuali sopravvissuti, ha precisato che pure il numero dei dispersi è incerto. «Non abbiamo dati precisi, ci sono intere famiglie spazzate via di cui nessuno ha notizia, e in molti ospedali ci sono registrazioni discordanti».
Quel che è certo è che su poco più di 6 mila edifici in città, 891 sono andati completamente distrutti, mentre le palazzine sommerse dal fango sono 398. E dal fango e dal mare continuano a essere recuperati cadaveri. «I corpi sono in decomposizione avanzata, diventerà impossibile identificarli», ha avvertito il responsabile di un team di soccorritori tunisini incontrando i volontari degli altri Paesi stranieri in città. Ci sono cadaveri incastrati tra le rocce, altri in mare raggiungibili sono con speciali equipaggiamenti. Un team algerino ne ha individuati oltre 50 a 7 miglia nautiche al largo del porto di Derna, «ma servono i sommozzatori, se avessimo i mezzi giusti potremmo recuperare 100 corpi al giorno», ha detto il responsabile della squadra.
E continua la corsa per aiutare la popolazione afflitta dal disastro. Da tutta la Libia arrivano volontari, equipaggiamenti, generi di prima necessità e medicine. «Siamo insieme, siamo uniti per aiutare», racconta un giovane arrivato dall’ovest, da una cittadina lontana 1.200 chilometri nell’immensa Libia. In tanti si augurano che la tragedia possa spingere la politica a ritrovare un percorso comune. Ma gli analisti avvertono che la ricostruzione e la gestione degli aiuti internazionali potrebbe accendere di nuovo la miccia del confronto armato.
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