Dopo oltre un anno di processo oggi Patrick Zaki è stato condannato a tre anni di carcere per «diffusione di notizie false» per alcuni articoli scritti sui social. La notizia arriva da uno dei legali dell’attivista al termine dell'udienza presso il Tribunale per reati contro la sicurezza a Mansura, in Egitto.
Al termine della lettura della sentenza lo studente egiziano dell'Università di Bologna è stato portato via dall'aula in manette, attraverso il passaggio nella gabbia degli imputati, tra le grida della madre della fidanzata e degli amici. Dovrà scontare una pena residua di 14 mesi.
Il calvario di Patrick, dal fermo alla condanna
Tre anni e mezzo di incubo giudiziario, con 22 mesi passati a dormire per terra in carcere e undici udienze di un processo dai connotati kafkiani risoltosi con una condanna a tre anni di prigione, in teoria inappellabile, ma soggetta alla valutazione di un governatore militare e del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi: è in questo girone infernale di tempi e circostanze che si è dipanato finora il caso di Patrick Zaki, lo studente e adesso laureato egiziano in studi di genere all’Università di Bologna.
Il 32enne Patrick fu fermato il 7 febbraio 2020 (con formalizzazione dell’arresto il giorno dopo) all’aeroporto del Cairo mentre rientrava in Egitto per una vacanza. Anche se la circostanza è stata smentita dalla procura, le modalità del fermo sarebbero state illegali: gli avvocati di Zaki denunciarono che agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale (la temuta Nsa) lo tennero bendato e ammanettato per 17 ore durante il suo interrogatorio allo scalo cairota. L’attivista inoltre sarebbe stato anche picchiato sulla pancia e sulla schiena e torturato con scosse elettriche.
Patrick era tornato a piede libero nel dicembre di due anni fa. L’accusa di ‘diffusione di notizie false dentro e fuori il Paesè al centro del processo conclusosi oggi - per la quale erano comminabili fino a cinque anni di carcere - si basa su un articolo che il cristiano Zaki scrisse nel 2019 su attentati dell’Isis e due casi di presunte discriminazioni di copti, i cristiani d’Egitto, che peraltro vedono nell’amministrazione di Sisi un baluardo contro il terrorismo islamico e l’ostilità su base religiosa di ampie frange della popolazione egiziana.
Durante il periodo pre-processuale, tra il febbraio 2020 e il settembre 2021, Patrick aveva subito lo stillicidio di ben 18 udienze in cui furono decisi prolungamenti della sua custodia cautelare passata quasi tutta nel carcere di Tora al Cairo, dopo meno di un mese trascorso nelle celle di due commissariati e di una prigione di Mansura, la sua città natale sul delta del Nilo. Soprattutto durante il primo periodo della pandemia, nella primavera 2020 la sua vicenda giudiziaria fu connotata da nove slittamenti delle udienze per il rinnovo della custodia cautelare. A Tora Patrick ha dormito sempre per terra, usando coperte come materasso e patendo forti dolori alla schiena. Ricevette la prima visita dei parenti solo dopo cinque mesi e mezzo di reclusione.
Si è trattato di un periodo nero in cui l’allora solo studente dell’Alma Mater ha rischiato 25 anni di carcere per una fantomatica serie di dieci post pubblicati su Facebook che istigavano alla sovversione ma che lui ha sempre negato di aver scritto: sarebbero apparsi su un account che porta due (Patrick George) dei suoi tre nomi principali, ma non sono stati mai resi noti o consegnati alla difesa. I testi erano stati usati per accusarlo di diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e a crimini terroristico, reati che nell’Egitto ancora scottato da due rivoluzioni e dal revanchismo della Fratellanza musulmana possono costare anche il carcere a vita.
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