È finita? «Assolutamente no, lungi da noi pensarlo. È un lavoro lungo, abbiamo avuto notti di terribile violenza, ora altre più calme. Ma procediamo con grande prudenza». Dall’Eliseo rispondono così a chi chiede se Emmanuel Macron sia convinto che ormai il peggio sia passato. Certo, si è passati da 1.300 fermi a 150, e la notte scorsa è stata la prima senza scontri. Ma la ferita è profonda e può riaprirsi da un momento all’altro. Per questo, anche stanotte, per la quarta volta, il governo ha schierato il massimo di uomini e mezzi sul terreno, 45.000 fra poliziotti e gendarmi.
Timidamente, «gradualmente» - parola sulla quale si insiste molto nei corridoi dell’Eliseo - si cerca di tornare alla normalità in un Paese che ha vissuto 5 giorni da incubo. Prima la tragedia di Nahel, ucciso con un colpo al petto a soli 17 anni da un poliziotto che lo aveva fermato alla guida dell’auto. Poi la reazione che ha scosso la Francia peggio di un terremoto, dalle banlieue - che hanno letteralmente preso fuoco con migliaia e migliaia di incendi, devastazioni, saccheggi - fino al centro delle città, Parigi compresa. Una fiammata che le autorità auspicano sia stata tanto violenta quanto breve.
Per provare a voltare pagina, Macron e la sua prima ministra, Elisabeth Borne, hanno ricevuto oggi rispettivamente le alte cariche dello Stato - il presidente del Senato Gérard Larcher e quella dell’Assemblée Nationale, Yael Braun-Pivet - e i capigruppo in Parlamento. Si torna a parlare, a curare le ferite, a programmare l’uscita dalla crisi, anche se la Borne è quella che ha avuto il compito più arduo: Marine Le Pen, ad esempio, si è rifiutata di andare all’incontro, sembra perché voleva essere «ricevuta da Macron». E Mathilde Panot, dei radicali di sinistra de La France Insoumise, ha abbandonato la riunione prima della fine, indispettita per non aver ricevuto risposte alle proprie domande. Si può prevedere che ancora meno facile sia l’incontro che domani Macron avrà all’Eliseo con oltre 200 sindaci di città e piccoli paesi che hanno subito di più la violenza di questi giorni. Uno, quello di Bry-sur-Marne, vicino a Parigi, Charles Aslangui, ha già fatto sapere che non andrà all’Eliseo perché «non è il momento di organizzare ricevimenti ma di ristabilire l’ordine». Macron ha voluto organizzare l’incontro perché - sottolineano fonti dell’Eliseo - “sa benissimo che sono i sindaci quelli che conoscono meglio i cittadini». È con loro che bisogna riparare i danni, con loro che si deve avviare quella che la presidenza francese auspica sia «una riflessione in tempi lunghi per capire cosa sia successo in questi giorni» nel Paese.
Ma non è facile, come ha dimostrato anche la rabbia che si respirava ad Hay-les-Roses, dove il sindaco Vincent Jeanbrun, che ha visto la violenza aggredire in piena notte la propria famiglia che stava dormendo, ha avuto parole durissime: «E’ la democrazia che è stata attaccata - ha detto alle centinaia di persone venute a sostenerlo - adesso è ora di dire basta». E più tardi ha aggiunto, ripensando a quell’auto-ariete incendiata e lanciata contro la propria casa dove i due bambini stavano dormendo: «Scopriamo il vero volto dei manifestanti, volevano assassinare mia moglie». Macron gli ha telefonato per assicurargli «fiducia e sostegno“: «Costruiremo insieme le soluzioni», gli ha garantito il presidente.
Si affronta così la settima notte in Francia con meno angoscia di qualche giorno fa ma con forti preoccupazioni per il futuro, per le critiche arrivate dall’esterno, per le paure suscitate nei turisti quando il settore sperava in una ripresa, per i danni ingenti che adesso bisognerà riparare (almeno 20 milioni di euro solo per i mezzi pubblici distrutti). Qualcuno pensa anche alle Olimpiadi di Parigi 2024: fra un anno dovrà essere un’altra Francia ad accogliere i Giochi. «Manca un anno, non bisogna fare confusione con le scadenze», ha detto il vicesindaco della capitale Emmanuel Grégoire. L’Eliseo è preoccupato ma ritiene, secondo quanto fanno trapelare le fonti, che «ci siano piani già pronti che prevedono questi rischi per le Olimpiadi, come per il terrorismo o gli hooligan. E’ tutto previsto per farvi eventualmente fronte - assicurano alla presidenza - ma il lavoro più importante sarà quello che faremo in questi mesi nei territori colpiti dalle violenze. Contiamo che possa portare i suoi risultati».
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