Gli Stati Uniti contro Donald Trump. Quale che sia l’esito dell’incriminazione a carico del tycoon per la gestione di documenti classificati una volta lasciata la Casa Bianca, è una giornata storica e drammatica per l’America. Per la prima volta, un ex presidente si trova alla sbarra per aver messo in pericolo il Paese che era stato eletto per difendere. Accuse federali, quindi più pesanti di quelle statali della prima incriminazione contro Trump per i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels.
L’ex presidente si presenta al tribunale di Miami per ascoltare la lettura delle 37 accuse a suo carico, tra le quali violazione della legge contro lo spionaggio e ostruzione della giustizia, come Richard Nixon all’epoca del Watergate. La città della Florida è blindata e si teme che i sostenitori del tycoon possano scatenare una rivolta in stile assalto al Capitol. A Manhattan alla fine i pochi fan radunati fuori dal tribunale non provocarono alcun disordine, ma a Miami ci sono molti più trumpiani rispetto a New York oltre a quelli che potrebbero marciare sulla città, come gli estremisti Proud Boys, protagonisti dell’insurrezione del 6 gennaio. Il secret service avrebbe voluto transennare tutta l’area attorno al tribunale e mettere la corte in lockdown ma la polizia locale non ha dato il via libera. Una volta in tribunale, essendo accuse federali, l’ex presidente deve sbrigare tutte le pratiche di un comune cittadino: impronte digitali, compilazione di moduli, presentazione del tesserino del Social security number, una sorta di codice fiscale. Niente foto segnaletiche né manette, tuttavia, per evitare strumentalizzazioni o spettacolarizzazioni. Trump non deve neanche sottoporsi al test del Dna, come invece accade a volte nei casi federali.
Come preannunciato si dichiara non colpevole, ma non è chiaro qual è la strategia difensiva visto che le 49 pagine del documento accusatorio contengono prove abbastanza schiaccianti che egli sapesse di maneggiare pericolosamente documenti top secret. Oltrettutto, dopo aver silurato all’ultimo minuto gli storici avvocati Jim Trusty e John Rowley, secondo i media americani il tycoon sta avendo difficoltà a trovare dei legali che vogliano rappresentarlo proprio per disaccordi sulla strategia da seguire. Trump, inoltre, starebbe cercando un esperto di sicurezza nazionale che lo aiuti a muoversi nei meandri di un caso assai più complesso delle bugie su pagamenti a Daniels. Con lui in aula ci sono Todd Blanche e l’ex solicitor general della Florida Chris Kise, ma potrebbero non essere loro a seguire il processo.
Come lo scorso aprile, quando la sera prima della comparizione si fece vedere con Melania a Mar-a-Lago, il tycoon ha ostentato tranquillità cenando nel suo resort di Miami, il Doral, in compagnia dei suoi avvocati e dell’assistente Walt Nauta. Il 40enne veterano della marina Usa, che è arrivato in Florida a bordo del Trump Force One, deve rispondere di sei capi d’imputazione nell’ambito dell’indagine su Mar-a-Lago, tra i quali cospirazione e false dichiarazioni. In particolare, è accusato di aver spostato e nascosto scatoloni di documenti top secret, su ordine di Trump, dopo che il dipartimento di Giustizia ne aveva chiesto la restituzione. Il suo boss lo ha difeso su Truth definendolo «un coraggioso patriota» ma per il procuratore speciale Jack Smith Nauta è colpevole di aver mentito quando è stato interrogato dall’Fbi nel maggio 2022.
Poco prima di arrivare in aula è tornato ad attaccare sia Smith che il dipartimento di Giustizia, definendo il primo “delinquente estremista di destra» e il secondo «corrotto e nelle mani di Biden». Dopo la comparizione Trump tornerà subito in New Jersey e, dal suo fortino di Bedminster, è previsto nella notte un discorso alla presenza, pare, di molti donatori e personaggi politici. Nessuna traccia invece di Melania che, come è successo per la prima incriminazione, mantiene le distanze dal marito. I tabloid assicurano che «lo supporta al 100%», ma l’ex First Lady è di nuovo sparita dai radar.
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