Una serie di documenti che potrebbero dare nuovo impulso ai magistrati della Procura di Roma per cercare di arrivare ad una verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, la 15enne di cui si sono perse le tracce nel giugno del 1983.
Atti che sarebbero stati messi a disposizione dalla magistratura vaticana, che da alcuni mesi ha avviato una indagine sul caso, nelle scorse settimane e finite nel procedimento aperto a piazzale Clodio nel 2021. Un fascicolo avviato dopo che il Csm aveva chiesto informazioni su un esposto presentato al Consiglio dai familiari della ragazza. La collaborazione tra i due uffici giudiziari potrebbe, quindi, portare ad ulteriore attività istruttoria con l’audizione di eventuali testi o acquisizioni di altro materiale.
«E’ una cosa positiva, per la prima volta ci sarà una collaborazione, sempre negata in passato, tra Santa Sede e magistratura ordinaria», commenta Pietro Orlandi che da anni si batte per fare chiarezza su quanto avvenuto 40 anni fa. Per la legale del fratello di Emanuela, l’avvocata Laura Sgrò, l’augurio è «che ci sia una cooperazione leale per la ricerca della verità. È una bella notizia, è quello che noi chiediamo da anni».
Il procedimento avviato a Roma due anni fa è stato affidato al pm Stefano Luciani: i familiari della cittadina vaticana avevano chiesto al Csm «accertamenti sulla condotta dei magistrati della Procura di Roma con riferimento ai colloqui intercorsi con il Vaticano per il rinvenimento del corpo di Emanuela». Nel dicembre del 2021 era stato ascoltato, come persona informata sui fatti, anche l’ex procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, titolare della indagine archiviata nel 2015.
Capaldo, ora in pensione, nel corso di alcune trasmissioni televisive aveva affermato di avere incontrato, nel corso delle suoi approfondimenti investigativi, due rappresentanti del Vaticano che gli «promisero di rivelare dove fosse il corpo» della ragazzina. Dal canto suo, il 12 aprile scorso, il promotore di giustizia vaticana, Alessandro Diddi, ha ascoltato per oltre otto ore Pietro Orlandi. Una audizione fiume durante la quale il fratello della ragazza ha messo a disposizione una memoria con le indagini private promosse dalla famiglia.
Tra i «nomi eccellenti» fatti al magistrato, quello del cardinale Giovanni Battista Re, attuale decano del Collegio cardinalizio e all’epoca della scomparsa della quindicenne cittadina vaticana sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato. Tra le documentazioni prodotte da Orlandi, i quattro fogli di una chat, risalente ai primi anni del pontificato di Francesco, in cui si parla del caso di Emanuela. Tra gli interlocutori di questa chat ci sarebbe il cardinale Santos Abril y Castellò, presidente della Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior e arciprete emerito della basilica papale di Santa Maria Maggiore. In un’ulteriore documentazione si parla della permanenza di Emanuela in Inghilterra. Orlandi è tornato poi a chiedere che vengano ascoltati alcuni testimoni dell’epoca tra i quali appunto il card. Re, il card. Leonardo Sandri, il card. Stanislaw Dziwisz, che è stato il segretario storico di Giovanni Paolo II, monsignor Georg Gaenswein, segretario di Benedetto XVI e l’ex comandante della Gendarmeria Domenico Giani.
Un caso è sorto intorno ad un audio citato da Pietro Orlandi e che apparterrebbe a Marcello Neroni, uomo vicino alla banda della Magliana, in cui si accusa Wojtyla tanto che Papa Francesco è intervenuto parlando «di illazioni offensive e infondate».
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