Le lacrime delle madri, la rabbia dei padri. Da mesi denunciano che gli invasori hanno strappato loro i figli, portandoli dall’Ucraina in Russia, insieme ai bambini orfani dei territori occupati. Anni, se si contano gli appelli lanciati già dal 2014. Ora sanno che qualcuno li ha ascoltati: la Corte penale internazionale ha emesso un clamoroso mandato d’arresto contro il presidente russo Vladimir Putin, accusato del «crimine di guerra» di «deportazione illegale» di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia. Per lo stesso reato, un altro mandato è stato spiccato nei confronti di Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino, che solo poche settimane fa aveva rivendicato l’adozione di una 15enne di Mariupol. La decisione della Corte dell’Aia è stata salutata come «storica» da Volodymyr Zelensky e dal procuratore generale ucraino Andrij Kostin. Mentre il Cremlino ha liquidato la faccenda definendo la mossa «inaccettabile» e senza alcun valore legale. Ci ha pensato come al solito l’ultra falco Dmitri Medvedev ad offrire l’immagine più colorita twittando un’emoji della carta igienica a corredo del commento: «Non c’è bisogno di spiegare DOVE dovrebbe essere usato questo documento“; mentre Lvova-Belova si è limitata a dire che sui bambini «continuiamo a lavorare». Secondo i giudici della II Camera preliminare che hanno emesso il mandato - tra loro anche l’italiano Rosario Aitala - «vi sono fondati motivi per ritenere che Putin abbia la responsabilità penale individuale per i suddetti crimini, per averli commessi direttamente, insieme ad altri e/o per interposta persona, e per il suo mancato controllo sui subordinati civili e militari che hanno commesso quegli atti». Per la Cpi, i reati sarebbero stati commessi nel territorio occupato ucraino almeno a partire dal 24 febbraio 2022, l’inizio dell’invasione, e secondo Kiev parliamo di migliaia di deportazioni: «Ne sono indagate oltre 16.000 in Ucraina, temiamo che i numeri reali possano essere ancora più alti», ha evidenziato il procuratore Kostin. E i casi seguiti dal procuratore della Cpi Karim Khan «includono la deportazione di almeno centinaia di bambini prelevati da orfanotrofi e case di accoglienza». Molti di questi «sono stati dati in adozione nella Federazione Russa», ha riferito lui stesso. Con la guerra che continua a infuriare, Kiev incassa così una vittoria morale che dimostra come «le ruote della giustizia» abbiano iniziato a girare, ha commentato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba: «I criminali internazionali saranno ritenuti responsabili del furto di bambini e di altri crimini internazionali». «Il mondo è cambiato», secondo il consigliere presidenziale ucraino Mikhaylo Podolyak, che ha parlato di «un chiaro segnale per le élite russe di ciò che accadrà loro. È l’inizio della fine della Federazione russa nella sua forma attuale sulla scena mondiale». Mosca invece ha provato a ridimensionare, sottolineando come «le decisioni della Cpi non hanno alcun significato per il nostro Paese», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. A fargli eco è stato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che ha ricordato come la Russia «non riconosca la giurisdizione della Corte, e ogni sua decisione è priva di base legale». La leadership russa non ha negato peraltro il fatto di portare i bambini ucraini in Russia e di proporli in adozione alle famiglie russe. Anzi, la stessa Lvova-Belova ha rivendicato «il lavoro per aiutare i bambini del nostro Paese: non li lasciamo nelle zone di guerra, li portiamo fuori, creiamo per loro buone condizioni, li circondiamo di persone affettuose e premurose». Ma al netto della propaganda, il mandato suona come uno schiaffo per Putin, ora ufficialmente annoverato nella lista di tiranni e capi di Stato e governo accusati di crimini di guerra dentro e fuori i confini dei loro Paesi. Oltre allo spiacevole accostamento con il libico Gheddafi e il sudanese Bashir - gli unici due presidenti ad essere finiti in passato nel mirino della Corte dell’Aia -, d’ora in poi lo zar dovrà quanto meno limitare i viaggi, visto che ben 123 Paesi in tutto il mondo hanno ratificato lo Statuto di Roma e potrebbero arrestarlo se vi mettesse piede. Su questo la Cpi conta sulla «collaborazione internazionale», come ha chiarito il presidente Piotr Hofmanski. Una cosa è certa, ha assicurato l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell: «Questo è solo l’inizio».