L’esercito ucraino attende una nuova arma destinata ad alzare la qualità della risposta militare alla Russia. Gli Stati Uniti nel nuovo pacchetto di aiuti sarebbero pronti inserire i missili Glsdb, in grado di colpire l’obiettivo fino una distanza di 150 km: quasi il doppio rispetto alla gittata degli Himars finora in dotazione a Kiev. Un segnale di allarme per Mosca, che ha messo in guardia dai rischi di un’ulteriore escalation. E nel frattempo ha dato l’ok ad una taglia sui tank Abrams. Le forze di invasione, secondo il governo ucraino, potrebbero lanciare una grande offensiva già nelle prossime 2-3 settimane. Da qui i rinnovati appelli agli alleati perché forniscano armi più potenti. A partire dai missili a lungo raggio, come gli americani Atacms, 300 km di gittata. Rispetto a quest’ultima richiesta Washington per ora prende tempo, ma allo stesso tempo lavora ad un nuova fornitura di armi che venga in parte incontro a Kiev. Nel nuovo pacchetto, da oltre 2 miliardi di dollari, dovrebbe infatti esserci spazio per la prima volta per i razzi Ground Launched Small Diameter Bombs, a guida Gps, utilizzabili in tutte le condizioni atmosferiche, anche contro i blindati. E soprattutto, con 150 chilometri di gittata, rispetto agli 80 degli Himars. Con i Glsdb, quasi tutto il territorio ucraino occupato dai russi entrerebbe nel raggio della controffensiva di Kiev, compresa la Crimea. Oltre gli Stati Uniti, che si confermano il fornitore principale per Kiev (27 miliardi di dollari), anche gli altri partner della Nato stanno accelerando i propri sforzi per sostenere il Paese sotto invasione. E’ il caso dell’Italia, che si prepara a varare il sesto pacchetto di aiuti militari, ha confermato il ministro della Difesa Guido Crosetto in un’intervista al Financial Times. «Probabilmente» includerà “armi di difesa contro gli attacchi missilistici russi», ha spiegato Crosetto, assicurando: «Daremo tutto quello che possiamo dare senza mettere a rischio la difesa italiana». In cima ai desiderata di Kiev c’è l’avanzato sistema anti-aereo Samp-T, su cui Roma e Parigi sono da tempo a lavoro. Anche l’Ue sta facendo la sua parte. La previsione è di addestrare almeno 30mila soldati ucraini, inclusi i carristi, dopo che diversi Paesi hanno messo a disposizione un consistente numero di tank. Al fianco di Kiev, inoltre, potrebbe schierarsi un altro partner di peso, Israele. La questione degli aiuti militari è oggetto di «esame», ha annunciato il premier Benyamin Netanyahu. Senza escludere che nel pacchetto potrebbe esserci il sistema di difesa Iron Dome: il fiore all’occhiello dell’antiaerea, che da anni intercetta con successo i razzi lanciati da Gaza. Questo rinnovato attivismo ha provocato ancora una volta la condanna di Mosca, che ha lanciato strali in tutte le direzioni. Inviare missili a più lungo raggio sarebbe «un modo diretto per alimentare le tensioni e il livello di escalation», ha denunciato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, pur assicurando che non sarebbero determinanti per cambiare il corso della guerra. Forse Mosca teme di più i carri armati occidentali, tanto che lo stesso Peskov ha accolto con favore le proposte avanzate da un’azienda privata e da alcuni governatori di pagare una ricompensa per ogni Abrams americano distrutto in Ucraina. Maria Zakharova, invece, se l’è presa con Emmanuel Macron per la questione di caccia. Definendo «assurde» le parole del presidente francese secondo cui l’eventuale fornitura di jet agli ucraini non porterebbe ad un’escalation del conflitto. «Mi rifiuto di credere che un uomo adulto possa avere una tale logica», ha affermato la vulcanica portavoce del ministero gli Esteri russo. La protesta non ha risparmiato neanche il governo israeliano, nonostante i tradizionali buoni rapporti con il Cremlino: «Quando si tratta di forniture di armi all’Ucraina, non classifichiamo i Paesi in base alla geografia. Considereremo tutte queste armi come obiettivi legittimi per le forze russe», è l’avvertimento recapitato a Netanyahu. E poco importa che il premier israeliano si sia appena offerto come mediatore tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky «se richiesto dalle parti».