«Putin? Ha salvato la Russia», ma "ora mi sembra malato di presunzione. Tutti mi dicono che non ha più importanza, perché lui è già Dio o, come minimo, il vice di Dio in terra, anche se non so per che cosa...». Il rapporto tra Mikhail Gorbaciov e Vladimir Putin può essere sintetizzato con queste parole, sospese tra analisi e ironia, pronunciate dall’ultimo leader dell’Unione Sovietica alla presentazione di un suo libro nel 2014. Apprezzamento per la capacità dell’attuale presidente di assicurare la «stabilizzazione della situazione dopo Eltsin, quando la sfida era salvare la Russia dalla disintegrazione», e sostegno su alcune delle scelte strategiche più importanti, come l’annessione della Crimea («storicamente giusta e legittimata dalla volontà popolare») e la sfida all’allargamento a est della Nato, definito come una «violazione dello spirito degli accordi per la riunificazione della Germania»; ma anche critiche per l’atteggiamento autoritario e l'accentramento del potere. Negli anni non sono mancate le stoccate di Gorbaciov allo zar, a partire dagli attacchi al suo partito Russia Unita, che, ebbe a dire, «somiglia alla peggior copia del Pcus». Di più: il presidente russo, aggiunse, è «circondato da leccapiedi». Ma nonostante l’uso di «metodi autoritari», aggiunse Gorbaciov, «l'obiettivo di Putin ha incrociato gli interessi della maggioranza». Dal canto suo, Putin si è ben guardato dall’andare allo scontro con il grande vecchio della politica nazionale - anche se a lungo il premio Nobel per la Pace si lamentò che non voleva incontrarlo - e gli ha espresso un apprezzamento quantomeno formale, come in occasione del messaggio di auguri per i suoi 90 anni, in cui affermò che l’ultimo leader dell’Urss «appartiene di diritto alla costellazione degli uomini di Stato notevoli, distinti ed eminenti dei tempi moderni che hanno esercitato un’influenza significativa sul corso della storia».