L’Ucraina mette a segno un altro importante colpo in Crimea, a una settimana dall’attacco che aveva distrutto una decina di aerei russi in una base militare. Stavolta gli ucraini hanno preso di mira un deposito di armi nel nord della penisola annessa da Mosca, provocando diverse esplosioni, in quello che i russi hanno definito un "sabotaggio". Un pessimo segnale per Vladimir Putin, che considera la Crimea una terra sacra: lo zar è tornato a scagliarsi contro gli Stati Uniti, principali sponsor di Kiev, accusandoli di volere una guerra lunga e di utilizzare gli ucraini «come carne da cannone». Mentre il suo nemico numero uno, Volodymyr Zelensky, ha ottenuto un successo anche sul fronte diplomatico. Giovedì a Leopoli riceverà il leader turco Recep Tayyp Erdogan ed il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. Le esplosioni in Crimea si sono verificate in una base nel distretto di Dzhankoi, nel nord della penisola, ha riferito il ministero della Difesa di Mosca, spiegando che è scoppiato un incendio che ha fatto esplodere un deposito di munizioni. Due civili feriti e gli abitanti di un villaggio vicino costretti a fuggire, il bilancio. L’esercito in seguito ha parlato di «atto di sabotaggio», affermando che sono state «danneggiate anche numerose infrastrutture civili, tra cui una linea ad alta tensione, una centrale elettrica, una linea ferroviaria e diverse case». Kiev neanche questa volta ha rivendicato ufficialmente l’attacco, ma fonti di alto livello interpellate dal New York Times hanno fatto sapere che si è trattato di un’operazione condotta da una «unità di élite ucraina che operava dietro le linee nemiche». Il governo non ha comunque nascosto la sua soddisfazione, a partire dal consigliere di Zelensky, Mikhailo Podolyak. Secondo cui si tratta dell’inizio della “demilitarizzazione» della Crimea. L’attacco alla base di Dzhankoi, che segue di pochi giorni quello ancora più spettacolare alla base di Saki, che ha provocato danni molto più ingenti all’arsenale russo (tanto che non è stato escluso il ricorso di missili a lungo raggio da parte degli ucraini), conferma la rinnovata intraprendenza di Kiev nella sua campagna per indebolire il fianco meridionale del nemico. Attraverso l’intensificazione degli attacchi a distanza alle strutture logistiche e di rifornimento russe. Ed anche la Crimea, da cui ogni giorno partono i caccia russi, è ormai a portata dei cannoni e dei droni ucraini. La risposta di Mosca non si è fatta attendere, con una rinnovata pressione sul nord dell’Ucraina: le autorità locali hanno riferito di raid sulla regione di Zhytomyr che sarebbero stati lanciati dal territorio bielorusso. Gli sviluppi sul terreno, con l’avanzata russa che si conferma lenta, sono certamente motivo di irritazione per Putin che questa guerra vorrebbe averla conclusa da un pezzo. Il presidente russo ha puntato il dito sugli Stati Uniti e i suoi alleati, per il massiccio invio di armi moderne a Kiev. Washington e l’Occidente, ha denunciato, «hanno bisogno di guerra e di alimentare controversie per mantenere la loro egemonia mondiale», tenendo «Paesi e popoli nella morsa dell’ordine neocoloniale». In Ucraina, ma anche in «Asia, Africa e America Latina», ha aggiunto Putin, citando il sostegno americano a Taiwan in funzione anti-cinese. La situazione del conflitto sul fronte sud resta incandescente intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, dove Mosca e Kiev da giorni si scambiano accuse per una serie di raid che hanno sfiorato l’impianto. Della questione hanno discusso Emmanuel Macron e Volodymyr Zelensky, ed il presidente francese ha chiesto ai russi di abbandonare l’area che controllano da marzo. Mentre gli ucraini hanno avvertito che in caso di emergenza si dovrebbe organizzare una maxi-evacuazione di almeno 400mila persone. Mosca, dal canto suo, ha ribadito la sua disponibilità a consentire un’ispezione dell’Aiea, ma alle sue condizioni: la missione non deve passare dalla capitale ucraina perché sarebbe «troppo pericoloso». Va decisamente meglio invece sul fronte del grano. L’intesa tra le parti continua a reggere e finora oltre 15 navi cariche di cereali hanno lasciato i porti ucraini. Inclusa la prima diretta in Africa. Ed è probabile che il dossier grano sia tra quelli in agenda nel trilaterale di giovedì in Ucraina tra Zelensky, Erdogan e Guterres. Il segretario generale dell’Onu, dopo Leopoli, visiterà il porto di Odessa.