Manifestazioni di protesta contro il presidente Kais Saied stanno investendo in questi giorni la Tunisia che si avvia domani 25 luglio ad approvare tramite referendum la Costituzione voluta fortemente dallo stesso Saied. Una di queste è sfociata in scontri con la polizia che si sono conclusi con decine di arresti e feriti, facendo presagire da più parti rischi di una deriva autoritaria del Paese.
In piazza ci sono diverse anime della società tunisina, la sinistra radicale, le associazioni a difesa dei diritti civili, il partito islamico Ennhadha e quello conservatore del Pdl. Tutte accomunate dalla paura di tornare ad un regime autocratico dopo la rivoluzione dei gelsomini ma divise sul da farsi, se boicottare i seggi o votare ‘nò, e soprattutto incapaci di trovare un terreno comune per sbarrare la strada al processo avviato da Saied esattamente un anno fa.
Il referendum rappresenta infatti una pietra miliare nel piano del presidente per colmare il vuoto istituzionale da lui stesso creato dopo il congelamento del parlamento, la sospensione della costituzione del 2014 e l’introduzione di misure eccezionali che gli hanno consentito di governare per decreto, oltre che una tappa fondamentale verso le elezioni del 17 dicembre. Saied ha provato descrivere la sua costituzione e il referendum come prodotti di un processo politico inclusivo basato sul dialogo e volto a «correggere il percorso della rivoluzione», ma i suoi oppositori gli contestano proprio la mancanza di dialogo nella redazione della Carta, accusandolo di voler far passare un sistema di potere costruito su misura per sé, con un presidente dagli ampi poteri che non può nemmeno essere destituito.
Il sistema delineato nella nuova costituzione è infatti un presidenzialismo puro, seppur con la presenza di due Camere, una eletta direttamente dai cittadini e una delle Regioni. Un sistema in cui il presidente non solo ha il sopravvento sul potere esecutivo, con la nomina o rimozione del primo ministro, ma gode anche di una straordinaria influenza su parlamento e magistratura.
Con opposizioni e società civile che non riescono a compattarsi, la costituzione di Saied, che gode ancora di un forte consenso popolare, sembra essere destinata a passare. Il referendum non prevede un quorum e si configura di fatto come un voto pro o contro il presidente. Se l’affluenza sarà bassa come previsto, verrà lecito tuttavia domandarsi se davvero la strada imposta da Saied corrisponda alla volontà popolare, sempre evocata dal presidente nei suoi discorsi.
Professore universitario senza un partito alle spalle, Saied venne eletto nel 2019 con oltre il 70% dei consensi come paladino del popolo, riuscendo a capitalizzare, in nome della lotta alla corruzione, la disaffezione dei tunisini verso i partiti. Un fattore che si riverbera nella nuova Carta che prevede l’elezione diretta dei deputati, senza liste di partito. A prescindere dal risultato del referendum molti osservatori locali ritengono comunque che la nuova costituzione non risolverà la crisi politica ed economica della Tunisia, che proprio in queste settimane sta negoziando un nuovo fondamentale piano di aiuti con il Fondo monetario internazionale. Alcuni di essi non escludono nemmeno ipotesi più remote, come le possibili dimissioni post referendum dello stesso Saied e l’indizione di elezioni presidenziali e legislative anticipate.
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