Per Emmanuel Macron, due mesi dopo la conferma all’Eliseo, è arrivata la più bruciante delle sconfitte. Un crollo al di là di ogni previsione per il presidente che in settimana - tornando dalla sua prima visita nell’Ucraina in guerra - aveva chiesto ai francesi una maggioranza «forte e chiara» per una «Francia davvero europea». Ha vinto Jean-Luc Mélenchon, il tribuno della gauche che tallona la maggioranza presidenziale. Ha stravinto Marine Le Pen, che senza neppure fare campagna elettorale ha decuplicato il numero dei deputati all’Assemblée Nationale. Sono crollati uno dopo l’altro i ministri del governo appena nominato da Macron, a cominciare dalla responsabile della Salute, Brigitte Bourguignon. Spazzati via due uomini vicinissimi al presidente fin dall’inizio della sua avventura in politica: il presidente del Parlamento, Richard Ferrand, e il capogruppo dei deputati di En Marche!, Christophe Castaner. Con una forbice fra 205 e 235 seggi - circa 120 in meno rispetto ai cinque anni appena trascorsi - l’obiettivo dei 289 che Macron inseguiva per assicurarsi la maggioranza assoluta si è polverizzato. I sondaggi hanno completamente sbagliato previsioni: le truppe di Mélenchon riunite nella Nupes (la sua France Insoumise più verdi, socialisti e comunisti) inseguono da vicino la coalizione di governo Ensemble!, con 170-190 seggi. «La sconfitta del partito di Macron è totale, non c’è nessuna maggioranza», ha esultato in serata Mélenchon, con i suoi collaboratori che hanno parlato di «un presidente minoritario“ annunciando già il naufragio della riforma delle pensioni: «E’ andata a picco questa sera». Con chi governerà Emmanuel Macron? Come ristrutturerà il suo governo decapitato da questo ballottaggio? E’ la premier giusta per una situazione così infuocata la tecnica e fredda Elisabeth Borne? Le domande si intrecciano stasera mentre davanti ai palchi di Jean-Luc Mélenchon e di Marine Le Pen i sostenitori delle estreme fanno festa. E’ stata proprio la leader dell’ultradestra a raccogliere il successo più clamoroso della sua carriera politica: partendo da 8 deputati, aveva l’obiettivo di raddoppiare per raggiungere il numero minimo per costituire per la prima volta un gruppo politico del Rassemblement National, ex Front National fondato dal padre Jean-Marie, a lungo senza alcuna rappresentanza in Parlamento. Il suo nuovo gruppo avrà almeno 75 deputati, un numero moltiplicato per 10. “Siamo riusciti ad eleggere un gruppo molto forte di deputati all’Assemblea, che d’ora in poi sarà ancora più nazionale. Sarà di gran lunga il più numeroso della storia della nostra famiglia politica», ha cantato vittoria Le Pen. Macron avrà vita durissima a dialogare sulle riforme con avversari così determinati. Entrambi - Mélenchon e Le Pen - hanno fatto in questi anni dell’anti-macronismo la loro cifra principale. «Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo - ha proclamato non a caso Mélenchon -, far crollare l’uomo dell’arroganza. Il crollo di quest’uomo che dava lezioni a tutti è davanti a tutti, è senza appello». Gli analisti sono concordi sul fatto che Macron possa rivolgersi unicamente alla destra tradizionale, gli ex neogollisti che fino a 10 anni fa sono stati sempre uno dei due poli che si alternavano al potere della Quinta Repubblica e sono ridotti oggi a quarta forza in parlamento (60-75 seggi), per la prima volta dietro all’estrema destra. Ma soltanto qualcuno dei dirigenti del partito, come Jean-François Copé, ha evocato stasera un «patto di governo» con i macronisti in difficoltà. Lo spostamento a destra voluto da Macron - che sta strutturando proprio in questi giorni il suo nuovo partito con il nome di ’Renaissancè - appare denso di interrogativi: una formazione politica azzoppata, inseguita dai suoi nemici più giurati, la sinistra radicale e l’ultradestra. Come previsto, si profilano cifre molto negative anche per l’affluenza, con un’astensione fra il 53,5% e il 54%, con metà del Paese sotto una cappa di afa vicina ai 40 gradi.