Due giorni ancora e poi finiranno le scorte di cibo ed acqua. Per due lunghi mesi si sono arrangiate, mettendo insieme ciò che trovavano per sfamare i figli ma ora le madri di Azovstal temono di non farcela più. L’allarme sale dai cunicoli bui dell’acciaieria di Mariupol, assediata da settimane dalle forze di occupazione russe e rimbalza sui social grazie ad un nuovo video del battaglione Azov. Sono quindici i bimbi e le bimbe sotto i 14 anni che vivono negli stanzoni umidi senza poter vedere la luce del sole da troppo tempo, con loro le madri e le nonne. Hanno i visi sfatti le donne, travolte dalla fatica e dalla stanchezza, gli occhi gonfi di chi ha pianto molto e non riesce a più a controllarsi anche davanti allo sguardo invadente di una telecamera. «La vita pacifica» è ormai solo un ricordo, dicono, non sanno quando potranno tornare a vivere sulla «loro terra». «Ci hanno privato di tutto», racconta chi trova il coraggio di prendere la parola. Il lavoro, le scuole, «la nostra bella città». Chissà se sanno che di Mariupol non è rimasto davvero più niente. La sera della vigilia della Pasqua ortodossa, Zelensky ha postato delle vecchie foto: un palazzo, una chiesa, un parco, un pontile che si distende sull’acqua del fiume, e di tutto questo non c’è più traccia. Una città da mezzo milione di abitanti non c’è più. Nella pancia di Azovstal, gigante della produzione dei semilavorati per mezza Europa e fortezza sotterranea, la vita quotidiana si degrada in modo sempre più evidente: i giacigli sono fatti di panni sporchi, il freddo e l’umidità impregna gli abiti. Una mamma fa strada, apre una porta e su un materasso malconcio si intravede un fagotto avvolto in una coperta: c’è un bimbo con un ciuccio in bocca che riposa, per pantalone una busta di plastica tenuta insieme dallo scotch. I pannolini per i più piccoli nei bunker dell’acciaieria si fanno così. La telecamera poi inquadra i muri scrostati, la desolazione degli stanzoni. «Per quanto tempo saremo qui?», è la domanda disperata che non ha risposta. I russi annunciano a ripetizione corridoi umanitari, ma non sono sicuri, dice Kiev. Il rischio è finire deportati nei territori della Federazione. E allora nonostante le bombe, nonostante tutto, meglio restare dove si è. In attesa. Ma il mondo - chiedono ancora le donne di Azovstal - sta guardando come Mariupol viene uccisa? «Il mondo dimentica, Azov no», è l’unica assicurazione che sanno e possono dare i soldati del controverso battaglione.